Quanti buchi neri nella vita di Di Pietro

La carriera dell'ex pm è costellata di misteri: la laurea, il concorso, i soldi e le case del partito. Dalle frequentazioni con boss italiani e stranieri agli strani rapporti col mondo dei servizi segreti

Quanti buchi neri nella vita di Di Pietro

Paolo Bracalini - Gian Marco Chiocci

Pur se con le ossa rotte e l’immagine devastata, fra bu­chi neri e cattive frequentazio­ni, alla fine Antonio Di Pietro riesce sempre a uscire dai guai. I suoi detrattori da anni denunciano un atteggiamen­to assolutamente benevolo da parte degli ex colleghi in to­ga, che l’ex Pm molisano di­fende sempre, comunque, do­vunque. Lui, Tonino, rivendi­ca onestà e trasparenza anche se poi ad ogni problema che lo riguarda risponde con quelle «citazioni civili» che fanno cassa ed evitano - per dirla con gli amici del Fatto Quoti­diano incavolati con le citazio­ni civili di Schifani­un dibatti­mento pubblico impedendo «al Pm di svolgere autonoma­m­ente indagini sui fatti conte­nuti negli articoli in maniera più ampia rispetto a quanto si può fare in sede civile».

L’uni­ca «condanna» riguarda la so­spensione di tre mesi da parte del Consiglio nazionale foren­se che lo ha riconosciuto «col­pevole » di illecito deontologi­co «per aver violato i doveri di lealtà, correttezza e fedeltà nei confronti della parte assi­stita »: che poi era il suo mi­glior amico di sempre, Pa­squalino Cianci, accusato del­l’omicidio della moglie. Non più magistrato, neo avvocato, Di Pietro prese le difese del­l’uomo a cui voleva tanto be­ne, ma che «tradì» passando con le parti civili che sostene­vano l’accusa. L’immagine del leader dell’Idv di recente ha rischiato di offuscarsi per quel che si è detto e scritto sui suoi presunti rapporti coi ser­vizi segreti (dalle foto insieme a funzionari della Cia al tavolo con l’indagato per mafia Bru­no Contrada fino alle irrituali indagini alle Seychelles per dare la caccia al faccendiere Francesco Pazienza).S’è incri­nata a proposito delle polemi­che sui «viaggi americani» nel boom di Tangentopoli a fian­co di personaggi (Leeden e Luttwak) considerati dalla si­nistra italiana vicini all’intelli­gence a stelle e strisce.

E che dire degli incidenti e dei passi falsi sul fronte «mafia»: accu­sò­il generale Mori per la scom­parsa dell’agenda rossa di Pa­olo Borsellino, e fu costretto a ritrattare: giurò di non aver mai visto Ciancimino, e il co­lonnello De Donno lo smentì ricordandogli un suo interro­gatorio a don Vito a Rebibbia; ammise di aver ricevuto dal Ros, prima della strage di via d’Amelio,un sos che lo mette­va fra gli obiettivi della mafia insieme a Borsellino (e solo lui fu allontanato dall’Italia con un passaporto falso, il giu­dice no e morì) smentendo quanto lui stesso aveva rac­contato nel 1999 ai giudici del Borsellino ter («Ho saputo del­­l’Sos dopo la strage di via d’Amelio»).

Prima,dopo,per­ché non avvertì lui Borselli­no? Boh. Contrada a parte, Di Pietro ha la sfortuna di finire spesso immortalato con per­sone poco raccomandabili: at­tovagliato sul Mar Nero, da eu­roparlamentare Idv, assieme al boss bulgaro Ilija Pavlov, uc­ciso da un cecchino; eppoi è in piedi, abbracciato a vari commensali di un pranzo elet­­torale, fra cui il presunto boss della ’ndrangheta Vincenzo Rispoli. Personaggi scomodi. Come quell’Antonio Saladi­no che frequentò in più occa­sioni, considerato il deus ex machina dell’inchiesta Why Not del collega Luigi De Magi­stris. Come il provveditore Mario Mautone, condannato a due anni nell’inchiesta Ro­meo, noto per le telefonate di raccomandazioni col figlio di Tonino, Cristiano, e per le tan­te versioni date sul suo conto dall’ex Pm in merito anche al­la conoscenza dell’indagine quand’era ancora coperta dal segreto.

Il politico di Montene­ro di Bisaccia s’è imbattuto spesso in collaboratori ingua­iati con la legge (dal fidatissi­mo Roberto Stornelli, appun­­tato arrestato nel ’ 96, a Giusep­pe Di Rosa, maresciallo, arre­stato per concussione) e in in­dagati eccellenti da cui ha rice­vuto favori particolari: tipo l’imprenditore della Maa Assi­curazioni, Giancarlo Gorrini, poi sott’inchiesta per banca­rotta fraudolenta, da cui prese in svendita la Mercedes, che per due volte gli assunse il fi­glio, che passò pacchi di prati­che legali alla moglie, la storia dei famosi cento milioni sen­za interessi, altri milioni per coprire i debiti di carte dell’al­tro amico Rea, capi d’abbiglia­mento, viaggi aerei; tipo il co­struttore Antonio D’Adamo, quello della Lancia Dedra, l’uso di un appartamento die­tro il Duomo, la stanza pagata all’esclusivo Mayfair di Ro­ma, altre consulenze per la moglie e per l’avvocato amico Lucibello e via discorrendo. Ma di vicende che fanno anco­ra di­scutere è piena la sua bio­grafia: la laurea presa lavoran­do notte e giorno, dando 21 esami in 31 mesi; il giallo del­l’esame da magistrato (con i sospetti di un rocambolesco ripescaggio dopo l’insufficien­za ricevuta).

Fra gli amici sco­modi al contrario, c’è l’ex fon­datore dell’Idv Mario Di Do­menico che l’ha trascinato in tribunale (senza fortuna) de­nunciando ruberie nel parti­to. C’è l’imprenditore di Ter­moli, Sandro Giorgetta, che ha registrato un finanziere che parlava di un piano di Di Pietro per incastrare Mastella (c’è un’inchiesta a Bari). C’è Elio Veltri, altro vecchio ami­co ed ex alleato politico con Occhetto, che reclama il dovu­to economico del voto del 2004 e che ha costretto la pro­cura di Milano ha indagare sullo statuto dell’Idv e e sul­l’omonimia «Associazione (di famiglia, ndr) Idv» e «Parti­to Idv » ipotizzando un mecca­nismo diabolico di «sostituzio­ne » dell’una rispetto all’altro per incamerare i rimborsi elet­torali. Nel partito è cresciuta l’insofferenza per la gestione dei soldi, per alcuni candidati dai precedenti penali imba­razzanti. Qualcuno ha alzato la testa, altri se ne sono andati, molti sono arrivati.

Si è detto di tutto e di più del patrimo­nio immobiliare di Tonino e della società immobiliare «An­tocri » (acronimo con le inizia­li dei suoi figli) con apparta­menti persino affittati all’Idv, o privati ma ristrutturati con fatture intestate al partito (co­me quello di Via Merulana 99 a Roma), ma alla fine giudizia­riamente l’ex Pm ne è uscito sempre intonso. La realtà è sotto gli occhi di tutti: checché se ne dica, Antonio Di Pietro in tribunale non perde (qua­si) mai.

E non dite che gode di protezioni particolari sennò vi beccate una querela. Anzi, una citazione per danni. Ci sa­rà un motivo se il capo del gab­biano è il secondo leader di partito, dopo Berlusconi, a di­chiarare di più al fisco.

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