«Quei maschi che a volte si ubriacano di se stessi»

Intervista con Ángeles Mastretta che descrive la vita di coppia in 48 racconti

A una quindicina d’anni di distanza, una qualsiasi delle Donne dagli occhi grandi che intitolavano il suo best seller anni Novanta, sgrana gli occhioni sul marito e dice tra sé e sé: «È ancora bello... non ci posso credere». Non c’è moglie che non si direbbe pronta a ripetere e sottoscrivere la battuta con cui, in corsivo e sottovoce, la scrittrice messicana Ángeles Mastretta introduce la rassegna dei suoi Mariti (Giunti, pagg. 286, euro 14,50, traduzione di Gina Maneri), libera di calcare la mano e gli accenti sulla prima o sulla seconda metà della frase.
Stupita o incredula che sia, comunque la signora si disporrà a prestar fede alle voci - tutte femmine, tutte complici - che via via prendono la parola in questi quarantotto racconti: direttamente chiamata in causa dal giuramento di fedeltà prestato al proprio bello, incredibile, impossibile consorte. Sposata o singola che sia, la lettrice finirà per condividere la sorte, le fantasie, le nostalgie, illusioni recidive e sogni infranti di queste eterne ragazze da uno, nessuno o centomila mariti. Quanto a loro, gli sposi, i soggetti, i divi - fatui, fittizi, falsi protagonisti cui, per forza di genere e di numero, si nega qui la parte della primadonna - facciano in modo di buttare un occhio a queste pagine. Ne trarranno, se non altro, il piacere squisitamente maschio di guardarsi e rimirarsi allo specchio. Mariti, insomma, è un libro per tutti e per nessuno? Ángeles Mastretta, che in 59 anni di vita ne ha visti centomila e di recente se ne è scelto uno, a chi ha pensato di dedicarlo? A chi le piacerebbe regalarlo?
«L’ho dedicato - risponde - a Catalina e Mateo, i miei figli: ai loro amori, al loro fervore e ai loro sogni. Vorrei regalarlo a tutto il mondo, ed è proprio ciò che sto facendo: le copie che mi ha messo a disposizione l’editore non mi basteranno mai. Con i miei due ragazzi parlo tantissimo, ma come madre è difficile parlare d’amore. Perciò è anzitutto per loro che volevo scrivere. Ora vorrei che tutti quanti mi leggessero. So già che tantissime donne mi leggeranno perché, romantiche e sognatrici come sono, più degli uomini amano l’amore e le storie di fantasia. Ma, come scrittrice e donna, il mio cruccio più grande e segreto è: troverò mai un lettore? Troverò un uomo?».
O un marito. Meglio tanti o uno solo?
«Meglio tanti! Lettori, uomini e mariti. Per ogni donna, anche se sola, o sposata e monogama, è così. Tutti i suoi amori alternativi, segreti o immaginari, gli amanti che ha avuto, le occasioni che ha perduto, gli innamorati che ha incontrato, gli uomini che ha solo sognato, forse nemmeno conosciuto e di sicuro non sposato sono stati come mariti per lei. A tutte auguro di averne più d’uno».
«Ogni tanto, pensò Cruz, i mariti servono a qualcosa». A che cosa servono?
«A mille cose. Ti fanno compagnia. Sono complici e buoni amici. Con il tempo diventano buoni padri: i figli se ne accorgeranno da adulti, la moglie lo vede sin da quando giocano con i bambini, gli insegnano ad andare in bicicletta, li aiutano a fare i compiti. Servono per parlare e, se va bene, ti stanno perfino a sentire. Io con mio marito parlo tantissimo: di tutto e di niente, dei miei guai, delle notizie dei giornali, degli spettacoli tv. Tanto per il piacere di stare a chiacchierare. E il piacere, già: i mariti servono soprattutto per fare l’amore. È la prima cosa, dovrei metterla in cima alla lista: siamo in tempo a correggere?».
In questi racconti qualcuno di loro entra in scena come un personaggio favoloso, quasi mitologico. Con un fascino gitano, il passo di un guerriero, il piglio di un eroe. Come un torero, uno zingaro, un principe, un angelo. È così che le mogli vorrebbero vederli? È così che si ostinano a cercarli?
«Io li vedo così! Le altre non so. Chissà se è così che li cercano. Comunque sia auguro a tutte di trovarne di simili».
Non (sempre) sono angeli, però, questi Mariti. Dove li vediamo cadere?
«Se inciampano è perché sono ubriachi di sé. Nutrono una smodata passione per se stessi. Amano parlare di sé dalla mattina alla sera. Concepiscono il mondo con se stessi al centro. Non fu per un peccato di superbia che precipitò dal cielo il più splendido degli angeli?».
Creature soprannaturali no. Talvolta però prodigiosamente o pericolosamente eterne: qualcuna di queste sue coppie si conosce da due secoli, convive da diecimila giorni, dovrà resistere per migliaia di anni. Qual è l’orologio che scandisce il tempo di un matrimonio?
«È un tempo più esatto e preciso di quello che Einstein scoprì relativo. Si calcola e scandisce con l’orologio dell’intensità: l’intensità del desiderio, delle emozioni, di un’intesa. È un’unità di misura difficilmente ponderabile ma immediatamente percettibile. Può ribaltare tutti i parametri cronologici. Io, con mio marito, vivo per esempio una storia d’amore anacronistica, tutta alla rovescia. Conviviamo da trent’anni e ci siamo sposati tre mesi fa. Molto bello e molto buffo che i testimoni di nozze fossero i nostri figli».
Se è così che funziona, invecchiare non fa paura...
«Invecchiare fa paura. Invecchiare insieme, scoprire insieme i primi segni di Canizie (non si può dire dove: per trovarli si veda l’omonimo racconto, ndr) ha perfino risvolti eccitanti».
Leggendo queste storie si ride tanto e si impara qualcosa: tre regole per essere felice che insegnerebbe a una giovane sposa?
«Coltivarsi interessi, piaceri, passioni personali, in un mondo proprio: fosse anche quello del lavoro. Ritagliarsi del tempo per stare da sola e imparare a goderselo. Essere generosa con il partner, ma non più di quanto lo sia lui».
L’infedeltà: è un peccato, un segreto, un sospetto, un gioco che dura poco?
«È tutte queste cose assieme. Non sarà poi un grave peccato se dura poco. Meglio tenere il segreto che nutrire sospetti. Ma anche la gelosia fa parte del gioco».
E la fedeltà? È una legge o una bugia?
«È un desiderio».
Teme più la noia, una sorpresa inaspettata, una tentazione, o il tempo che intanto trascorre?
«Il tempo ahimè trascorre, ma più di tutto mi fa paura la noia. Conosco però un trucco per scacciarla: canto!».
Ciò che lei chiama «il sale proibito» è un condimento indispensabile per il gusto della vita di coppia: quanto basta?
«Vedi alla voce “infedeltà”. È un ingrediente segreto, ne basta poco, pizzica e stuzzica come un gioco, ma non si deve esagerare: il sale non dev’essere mai troppo, non devi sentirlo, devi appena sospettare che ci sia».
Ha scritto qualcuno di questi racconti per vendetta?
«No. Proprio no. Non conosco il rancore, per distrazione: il guaio è che se c’è una ragione per nutrirlo me la dimentico presto».
Il sogno dell’amore è universale o impossibile?
«È un sogno universale, ma l’umanità intera ha cominciato a sognarlo solo di recente. Direi a occhio e croce dai tempi di Romeo e Giulietta. Gli amanti dell’antichità ignoravano il sogno dell’amore. L’eroe greco che rapisce Elena non la ama, la desidera. L’amore è un sogno giovane e strano. Ancora nel 1789 la Jane Austen di Orgoglio e pregiudizio sembrava una matta a quelli che non capivano come si potesse anteporre un sogno romantico alla ricerca di un buon partito o di un marito facoltoso e rispettabile».
E il sogno della felicità, si realizza sempre con il sogno dell’amore?
«La felicità è una sensazione che va e viene. Io punto piuttosto a far durare il sogno della gioia, che è diverso.

La gioia di vivere, di sentire, di amare e di stare al mondo. Puoi percepirla anche nei momenti di tristezza. Puoi provarla perfino nei momenti di solitudine. Certo ci sono donne che da sole al mondo non sanno stare. Tanto meglio per loro: o a che cosa servirebbero i mariti?».

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