
«Dalla fiducia nel proprio potere nasceva la sua forza» e quando il potere fu perso, iniziò a crollare. E a insudiciarsi con storie grottesche, con feste di altri tempi, con lettere che nessuno avrebbe mai letto e con pose da gran Dama che non si sarebbe mai più potuta permettere. E anche la sua esistenza, che aveva pensato e studiato nei dettagli, perché fosse ricordata e sbalorditiva, finì in uno sbadiglio e in una piccola notizia di cronaca in una Corte che pensava a tutt'altro.
È fantastico il tragico racconto della preferita di Francia, madame de Prie, scritto mirabilmente da Stefan Zweig in Storia di una caduta (Adelphi). Una settantina di paginette che descrivono il triste epilogo della nostra eroina: una volta amante del Re e dei più importanti dignitari di Francia, viene improvvisamente cacciata da Corte ed esiliata nel suo castello di campagna. Non le bastano più i tanti soldi accumulati, non le basta la sua bellezza che sta sfiorendo, e la sua intelligenza viva e arrogante, per tenerla in vita. Spera sempre di essere riammessa a Corte. Ma sa che non potrà mai accadere. E allora si strugge, scalcia, ama e tradisce. Viene persino picchiata. Ma non sono i pugni che riceve che le fanno male: è la patetica condizione in cui si è venuta a trovare che la fa sanguinare.
È la storia della fine di un potere, di un'influenza. Madame de Prie cercava ossessivamente di riprodurre nel suo provinciale castello usi e costumi di ciò che succedeva a Parigi. Ma nulla era come prima. Il potere, la città, la Corte, gli intrighi e il ruolo non si possono autodeterminare. Questo racconto breve di Zweig, che ha passato la vita a scrivere mirabilmente biografie di grandi uomini (da leggere quella dedicata a Magellano), può sembrare marginale, ma letto oggi ha la forza di una efficace metafora politica.
Togliete di mezzo la Favorita di Francia e mettete in scena uno di quei politici che passando per la Corte di Roma, Palazzo Chigi, ha perso i favori dei nuovi sovrani e cioè del popolo. E leggendo lo struggersi della de Prie comprenderemo lo struggersi di tante meteore romane.
«La storia conclude Zweig, che di storia se ne intende non tollera gli intrusi, sceglie essa stessa i propri eroi e respinge spietata coloro che non ha chiamato, anche se tanta è la pena che essi si sono dati; chi è caduto una volta da carro in marcia del destino, non vi può più risalire». Conte, Renzi, Di Maio, Bonafede, Toninelli, Boschi e tanti altri sono per ora caduti dal «carro in marcia del destino». Anche se in Italia non è detto che non possano più risalire.
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