Quel bacio di Ibra solo per interesse

Quelli come lui, una volta, non baciavano mai. Ibra era così, un amore a tempo, senza malinconie, senza rose e regali di compleanno. Non c’era neppure bisogno di raccontarsi bugie. Era tutto lì, nell’orgasmo dei suoi tacchi, inseguendo verticali che ti portavano fino al cielo, gol da brivido, improvvisi, magici, da una botta e via, senza romanticismo. Moratti pagava e lui metteva in scena i fuochi d’artificio. Era il suo fascino. Ibra e il suo cinismo scanzonato, come i trapezisti girovaghi che arrivano nei paesi e ti regalano qualche giorno di follia. Ti incanta, ma sai che prima o poi andrà via, altro giro, altra piazza. Ibra era l’uomo che cammina sui pezzi di vetro, quello che guarda la linea della mano e ti dice serio è mia, sottintesa la vita. Nord, Sud, Est, Ovest. Ibra era uno zingaro. Non aveva casa e il cuore era sempre un passo più in là. Non era uno da rimpianti, c’era sempre una porta da chiudere e da lasciarsi alle spalle. È quello che ha fatto con l’Inter. Un mercenario che non racconta balle. L’amore è roba da chi veste una bandiera. Lui no, non era così. Lo sapevano tutti, come ha detto il suo ex compagno Ivan Ramiro Cordoba: «Ibrahimovic non era all’Inter da dieci anni. Non era una bandiera. Non mi indigna quel bacio».

Eppure qualcosa di stonato c’è. Il Neu Camp di Barcellona, catino catalano, era una bolgia di clienti e aficionados. Tutti lì a vedere il numero nove dei pellegrini e dei viandanti, questo svedese che porta a spasso l’amore sacro e l’amor profano. Con Bocca di rosa, hanno sospirato a Milano, sotto la Madonnina, se ne va la primavera. Questo era Ibra. Fino a quel bacio. Ibra bacia la maglia blugrana davanti a tutti e la bacia dritta al cuore, senza pudore, come un innamorato al primo appuntamento, quasi melenso, con un pallone viscido sul petto che sa di melassa. Ibra parla d’amore e non è più lui. Bocca di rosa si può innamorare? Forse sì, ma se lo fa al primo appuntamento magari non è credibile. E allora uno pensa: quanto valgono sul mercato i colpi di fulmine? Scusa Ibra, ma ognuno è vittima dei suoi presupposti. E se prometti amore eterno se ne va via l’odore di luna park, le macchinine con l’autoscontro, il domatore di leoni, il fucile ad aria compressa e le tre palle mille euro.

Questo Ibra innamorato ha sfiorato per un attimo il destino di Eto’o. Si sono incrociati senza guardarsi negli occhi, uno andava e l’altro veniva, come legati da un incantesimo di mercato, due personaggi di un romanzo incompiuto. Eto’o arriva a Milano con la fama di quello un po’ particolare, orgoglioso come certi principi africani, che con lo zingaro aveva in comune quella lingua senza finzioni. L’amore di Ibra è un frammento, quello di Eto’o un patto. Ibra è capriccio. Eto’o è rispetto. Tranne il 9 ballerino non hanno molto in comune. La differenza è tutta qui. «Sono Samuel Eto’o e non mi paragono mai con gli altri: il mio passato parla per me. Ibra è un grandissimo, gli auguro il meglio in una squadra che amerò per sempre. Baciare la maglia? Devo guadagnare la fiducia dei tifosi giorno dopo giorno, sul campo. È un processo graduale, non un rapporto che si crea a tavolino. Ibra faccia quello che vuole: se vuole baciare la maglia, la baci».

Ma c’è un prezzo da pagare. Ibra innamorato è uno come gli altri. Non è l’improvviso. Non è l’epifania. Non è la rivelazione e la sorpresa. Non è un romanzo picaresco. È uno che mette su casa, mentendo perfino a se stesso.

Quel bacio ha rotto un incantesimo. Troppo facile, troppo in fretta, non voluto e non richiesto. Ibra non era una bandiera. Ibra era Bocca di rosa. Ibra era una notte d’amore. Amore bello e mercenario. Ma è questo il punto. Le lucciole non baciano.

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