Claudia Mori versione 2011, piazza Castello, Milano: «Si può fare la velina ma con dignità, senza diventare merce. Una può fare la velina impedendo, ad esempio, che la telecamera le vada sotto le mutande». Claudia Mori versione 1985, scene dal film Joan Lui pensato e diretto e interpretato da Adriano Celentano: lì la telecamera non può andare sotto le mutande semplicemente perché Claudia Mori non le ha, indossa un vestito bianco bianchissimo ed è sotto una cascata d’acqua con effetto miss T-shirt bagnata: è per lo più trasparente ovunque, tutto compreso, seno e pure il resto, il pube s’intende. Sia chiaro: oggi con immagini così osèe (si fa per dire) pubblicizzano anche i popcorn e al cinema non ne parliamo, si vede molto più hard persino in Harry Potter. Ma allora no. Oddio, si tratta di un film, peraltro di un film controverso, dicono mal montato, finito sotto processo, non certo benedetto dal botteghino e nemmeno da tanta critica visto che Michele Serra, allora critico cinematografico e in seguito autore tv di Celentano, lo definì nientemeno che un insieme di «pensieri di Frate Indovino ricicciati intorno al biliardo di via Gluck».
Non sono certo giudizi da cinque stellette e lode. Per di più, in Joan Lui, Claudia Mori, come al solito a bordo della sua bellezza radiosa, cantava l’inequivocabile canzone titolata «Splendida e nuda» dal lieve intreccio pop ma dal chiaro riferimento sessuale, oltretutto venato dall’inevitabile (non sia mai) urlo contro il sistema: «Splendida e nuda nei miei sogni tu te ne stai, e non sei più schiava di un sistema che tronca ogni libertà». E te pareva... D’altronde la battuta ritenuta più memorabile di tutto il copione è, Celentano oblige, «tra dieci anni si leggeranno solo due giornali: il Corriere dell’Est e il Corriere dell’Ovest, ci sarà un gran botto e addio mondo». Invece, non solo fortunatamene siamo tutti ancora qui e i giornali sono centuplicati. Ma il botto ieri hanno provato a farlo tutte le donne che si sono ritrovate a Milano in piazza Castello, come in altre piazze d’Italia, per dire quello che sostanzialmente Claudia Mori – autentica maître à penser del Clan Celentano nonché signora dal piglio autorevole e fascinoso –, ha riassunto nello slogan «niente telecamere sotto le mutande».
Facile dirlo ora, son dichiarazioni con la memoria corta e di sicuro dettate dall’impulso, dallo slancio, dal bisogno insomma di partecipare a voce alta allo sdegno generale così massicciamente distribuito dall’alto, esattamente come i marines facevano dai loro camion con le tavolette di cioccolato dopo il 25 aprile. Si sa, un po’ di indignazione non si nega a nessuno e persino Vittorio De Sica - un uomo, diciamo così, con uso di mondo - diceva che l’indignazione morale «in molti casi è composta al due per cento dalla morale, al 48 dall’indignazione ma dal 50 per cento dall’invidia». Era così tranchant, lui, perché aveva una vita familiare che oggi si direbbe obliqua, due donne insomma, una qui e l’altra in un’altra casa. E di certo non è il caso di Claudia Mori, che con Celentano tra alti e bassi compone da 47 anni una delle coppie più belle del nostro spettacolo. «Le donne devono iniziare a credere che ce la si può fare anche da sole» ha detto ieri nell’adunata in Piazza Castello, ricalcando più o meno quegli slogan femministi di tanti e tanti anni fa, 1977 più o meno, lanciati allora tra le più spregiudicate rivendicazioni di libertà sessuale in faccia agli uomini naturalmente colpevoli. Adesso gli uomini sono sempre colpevoli ma sono spariti quasi tutti e ne è rimasto solo uno in rappresentanza del resto: Silvio Berlusconi. Un po’ limitativo. Soprattutto, molto strumentale, ma molto assai.
In fondo è sempre così: il passato si sublima.
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