Quella telefonata al Colle che ha fermato i veleni

Qualcosa è cambiato quando questa mattina Silvio Berlusconi ha telefonato a Giorgio Napolitano. Qualcosa è cambiato quando il Capo dello Stato ha chiesto «una tregua nelle polemiche in vista del G8». Qualcosa è cambiato perché l’autorità di Napolitano è tale che il suo invito non è rimasto lettera morta. Certo, forse tutto questo era già nell’aria, forse erano aperture di credito già mature. Ma sta di fatto che dopo le parole del presidente della Repubblica, Emma Marcegaglia ha pronunciato quella parola magica che mette al riparo dalle tentazioni di inciucio, dai colpi di mano in Parlamento, dalle trattative levantine nei Suk della politica, sempre finalizzate a mettere in piedi fantomatici «governi tecnici» che rappresenterebbero una tragedia per il Paese: «Stabilità». Altro che le scosse invocate da Massimo D’Alema. Qualcosa è cambiato. E Gianfranco Fini rompe un silenzio chiacchierato: «Una crisi di governo non è nella realtà. Non vedo rischi per la stabilità». Mentre solo ieri l’altro Giulio Tremonti aveva inventato la felice metafora dello yogurt, spiegando che «i governi tecnici sono come lo Yomo, durano poco». E adesso anche l’ex leader di An, precisa: «Demonizzare Berlusconi non intacca il suo rapporto con la gente, la fiducia nel governo continua ad essere molto alta». Qualcosa è cambiato, se è vero che i dirigenti del Pd (gli stessi che qualche giorno fa mettevano in discussione le qualità di padre di Silvio Berlusconi), ieri giudicavano, con il loro capogruppo Antonello Soro, «molto saggio» l’appello di Napolitano. Nel primo dopoguerra, persino un leader di parte come Palmiro Togliatti seppe mettere da parte i vessilli della propria appartenenza per varare un’amnistia in favore di coloro che - con idee politiche opposte alle sue - avevano servito il regime appena sconfitto. Negli anni di piombo i due principali partiti riuscirono - malgrado molti errori - a far fronte comune contro il terrorismo, quando il rapimento di Aldo Moro mise a repentaglio la sicurezza dell’Italia. In quei giorni, nei gruppi dirigenti della sinistra istituzionale, nessuno considerò meno grave l’attacco portato dalle Br «al cuore dello Stato» solo per il fatto che vedeva come vittima il leader del principale partito concorrente. Ecco, adesso che lo ha detto un uomo sicuramente estraneo alla cultura del centrodestra come Giorgio Napolitano, sicuramente sarà più facile capire per tutti che la strategia del gossip non è l’attacco a una parte, ma è un potenziale vulnus per tutto il Paese. Che i quiz intimidatori rivolti a un premier non sono libertà di stampa, ma tutt’al più la sua caricatura. L’abbattimento mediatico di un governo, Napolitano lo fa capire chiaramente, non segnerebbe una sconfitta per il centrodestra, ma sarebbe uno stravolgimento istituzionale letale per tutti i cittadini. Qualcosa è cambiato. E se con un nuovo coro di ex prostitute pronte a rivelazioni a orologeria si cercasse di mettere in discussione la legittimità di questo governo alla vigilia del prossimo G8, non sarebbe Berlusconi o il suo governo a subire il danno maggiore, ma la credibilità dell’Italia, già sputtanata sufficientemente da chi ha anteposto gli interessi di parte a quelli nazionali.

La stabilità di questo governo, rispetto alle minacce dell’antipolitica, e ai veleni della diffamazione a comando, non sono un regalo a una parte, ma un debito da onorare di fronte al Paese. Qualcosa è cambiato. Si rassegnino i Franceschini e gli Enrico Letta che parlano di un Berlusconi in declino. Non sono riusciti a convincere un Penati o un Chiamparino, figuratevi gli italiani.

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