Quelle "Mistiche" a caccia dell'amore di Dio

Una antologia a cura di Brullo e Deho' raccoglie testimonianze di passioni forti, tra il cilicio e l'estasi

Quelle "Mistiche" a caccia dell'amore di Dio
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«Io son pazza per amore; voglio sempre più impazzire, e, fra pazzie amorose, griderò sempre più forte. Il pensare per puro amore, mi dà vita, mi dà forse». Le parole di Veronica Giuliani (1660-1727) - «una delle apparizioni più sconcertanti nella storia delle scritture spirituali» - sono ardenti, irresistibili, irrefrenabili, e riassumono, in un certo modo, Mistiche, il nuovo scintillante libro pubblicato da Magog (euro 18), curato da Davide Brullo e Alessandro Deho', che firmano anche due brevi, preziose introduzioni («Baccanale di mistiche» e «Tra il cilicio e l'estasi»). Giovane e bella, Veronica Giuliani si vestiva da maschio e allontanava i molti pretendenti; in convento era considerata una strega e costretta a terribili punizioni, come leccare il proprio sterco. Tutto questo, però, non le impediva di scrivere parole di tenerezza frenetica. Come quelle di Gemma Galgani (1878-1903), che voleva solo stare con Gesù, che voleva fuggire con lui, che bruciava «continuamente» e voleva sempre più bruciare; che desiderava morire, soffrire, che non sapeva quello che desiderava, ma voleva, in fin dei conti, «solo» quell'amore totale, impossibile e per certi versi anche ambiguo («mi sarai sempre padre, ed io sarò sempre tua figlia fedele e, se ti piace, sarò tua amante»): un amore non troppo diverso da quello che Karen Blixen una sorta di mistica pagana provava per Thorkild Bjørnvig («Oh bambino mio, caro Fratello e Amante»), o da quello di cui andava in cerca l'«ateo mistico» - come lui stesso si definiva Emil Cioran, secondo cui tutto si riduceva «a desiderio o ad assenza di desiderio. Il resto è sfumatura». Perché la mistica è erotica, come dimostrano, forse più di tutti gli altri, gli scritti di Caterina Vannini (1562-1606): «E in quello istante comparse una fanciulla in abito di ninfa; era svelta e succinta, vestita tuta di colore rosso, in testa aveva e' capelli rossi e tutti arricciati come si dimostrano gli angeli... Io non ho mai desiderato altro da voi che di esser sola; che voi non amiate altri che quella ninfa, poi che io ricevevo e tanto contento di vedere che voi non volevi altri fruti che da quella fanciulla, e che ella v'era più vicina che quelli uomini brutti che v'erano più lontano». Prostituta, cortigiana, probabile Maddalena del Caravaggio, rifiutata da innumerevoli ordini monastici, la ninfa mistica punita per la sua bellezza rievoca la supplica che apriva il Cantico dei Cantici («mi abbeveri di baci la tua bocca, perché il tuo amore inebria più del vino»). Meno delicata e più selvaggia è Battistina Vernazza (1497-1587), che sente i sussurri di Dio («Non voglio che nissuno ti tocchi. Ti voglio tutta per me ... Vieni, che ti voglio tutta divorare»), in quello che, scrive Deho', somiglia molto e in fin dei conti è ad un incontro erotico, «in cui tutto è appeso al suo eterno sì».

L'amore mistico, però, è anche amore materno, tra seduzione ed erotismo, come quello desiderato, sognato, supplicato da Umiltà da Faenza (1226-1310), madre di due bambini morti poco dopo la nascita, che trasforma Cristo nel figlio mai avuto: «Dammi, o Signore, l'agnello immacolato, che succhia volentieri dalle mammelle e ha sempre fame, affinché sia sempre saziato da quelle e mai se ne allontani». Perché Dio è maestoso, potente, e irresistibile: è padre, ma anche madre, perché come nelle visioni di Domenica del Paradiso (1473-1553) - può apparire coi seni, anzi, «con le mammelle piene di latte; e chiamo i figlioli che vengano a poppare ... insieme chiamo dunque tutti i miei figlioli e loro porgo alla bocca i miei capezzoli».

Le mistiche provano un amore disperato, come Margherita da Cortona (1247-1297): «Amore mio Gesù, chi ti ha ucciso? Amore mio, dimmi dove ti sei nascosto. Ma perché devo continuare a vivere, se non posso più avere te?». O Benigna Consolata Ferrero (1885-1916), nata a Torino in una famiglia ricca, che, «precocemente scossa da visioni angeliche», come racconta Brullo, scriveva a matita su centinaia di fogli: «Sento in me una nausea interna per ogni cosa, tutto mi reca fastidio ... Voglio avere l'unica ambizione di essere tutta di Gesù per sempre...»; perché la mistica è un esercizio faticoso: «Non amo molto comparire innanzi agli altri con le scarpe rotte, il mio amor proprio se ne risente... Mi specchio sovente, potrei evitarlo...

mortificherò i miei sensi e farò il contrario di ciò che l'amor proprio vorrebbe propormi di fare». Ed è la scoperta della propria impossibilità e della propria insostenibile limitatezza, come aveva capito benissimo Veronica Giuliani, che, sconsolata, scriveva: «Dico e ridico e non dico niente».

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