Sopratitolo: «Nelle fauci di un'informazione truccata». Sottotitolo: «Un Paese senza intellettuali; un'opinione pubblica imbalsamata; una democrazia svenuta». Titolo: «I nuovi mostri». Inequivocabili gli intenti dell'ultimo saggio di Oliviero Beha (ed. Chiarelettere, pagg. 281, euro 13,60), che lo presenta oggi alla Fiera di Milano (sala Agorà, ore 16.30) con Franco Bonamini, direttore del Parco nazionale delle Cinqueterre, ed Ermete Realacci, parlamentare Pd.
Signor Beha, lei presenta il suo libro a Milano, città di giornalisti, senza giornalisti. E con un politico. Perché?
«Parleremo d'informazione, senza riguardi per destra e sinistra, fra intellettuali, perché tali sono Bonamini e Realacci».
Definisca l'intellettuale.
«Chi sa pensare e si occupa di tutti, non solo di quelli della sua parte».
Realacci è pur sempre anche un parlamentare...
«Che ha accettato di presentare un libro dove anche il suo partito è criticato».
Un parlamentare rappresenta il popolo. E il direttore di un parco nazionale?
«Rappresenta la sua comunità, senza distinzioni, quindi anche lui è un intellettuale».
Continui.
«Bonamini ha fatto cablare tutti Paesi delle Cinqueterre, a vantaggio dei suoi vecchi, senza questione di osservanza politica. L'intellettuale di parte ha fatto il suo tempo».
Anche Régis Debray l'ha detto.
«Zygmunt Bauman è andato oltre Debray, distinguendo l'intellettuale legislatore dall'intellettuale interprete».
Dunque?
«L'intellettuale-interprete non modella una società: è l'antesignano del giullare nel sistema mediatico».
Milano ha avuto per assessore alla cultura Vittorio Sgarbi, che sarebbe noto solo ai suoi cari senza tv.
«Se Sgarbi non avesse urlato o se almeno ora fosse pacato, in tv non sarebbe andato o non andrebbe. Ormai ha un ruolo da rispettare».
Il giornalismo suborna, non informa il pubblico... Di solito il seguito è: «Tutta colpa di Berlusconi».
«Non per me. Oggi forse Berlusconi è una causa, ma prima è stato un effetto. Prendersela con lui è stata una follia».
Il giornalismo s'è adeguato alla parzialità.
«Con l'apparente alternativa, il maggioritario ha dato ai giornalisti, non brillanti già col proporzionale, una torta da dividersi: pro o contro Berlusconi».
Tertium non datur?
«Se ti invitano a un programma tv, devi mettere una coccarda. La rifiuti? Basta inviti».
E senza inviti non esisti più, almeno mediaticamente.
«Perché i giornali si fanno sulla tv, non sulla realtà».
Lei quanta tv fa, ora?
«Un minuto nel Tg 3 delle 19. E basta per alzare gli ascolti. Se avessi un programma come quello di Santoro, pensi
».
Penso. E capisco perché non glielo danno: lei ridimensiona un po' Enzo Biagi e molto Gianni Brera.
«Quando Eugenio Scalfari mi chiese - la prima firma dello sport sulla Repubblica ero io - se gradivo l'assunzione di Brera, Giampaolo Pansa mi sconsigliò d'accettare. Invece accettai».
Brera lasciava Il Giornale: a Montanelli dava ombra, si dice
«Si dice. Ma io dissi a Scalfari che mi sarei misurato volentieri con Brera. Il problema era come usarlo: non sugli eventi, perché non faceva inchieste. Caso mai, sulla memoria. Brera era chiamato il Gadda dei poveri».
Prosegua.
«Allora Repubblica, che non usciva il lunedì, era in ritardo sul campionato tanto da esser chiamata Ripubblica. Dissi a Scalfari di colmare quella lacuna».
Sì, ma Brera?
«Era il migliore dei peggiori».
Ovvero?
«Faceva sempre lo stesso pezzo. Quando ci fu la strage dell'Heysel, disse che era cronaca nera, non affar suo».
A Milano i programmi tv calcistici sono parlamentini dove i giornalisti rappresentano le maggiori squadre.
«Un caso meraviglioso! Ma non l'unico. Ospite di Simona Ventura a Quelli che il calcio su Rai2, Aldo Biscardi imita se stesso, dopo avere inventato tanti mostrini».
Restiamo a Milano...
«Milano ha perso più di Roma. Era la capitale morale: che cosa le resta senza morale?».
Parola di moralista.
«Mi smentiscano, se ci riescono! Non m'ignorino, come fanno abitualmente i furbetti del giornalino!».
Calciopoli è finita. Per ricominciare.
«Luciano Moggi non ha fatto di peggio di ciò che fanno Milan e Inter con le reciproche accuse».
Lei rivelò che Italia-Camerun al Mundial 1982 era comprata. I suoi colleghi sapevano quanto lei, ma tacevano.
«E nel 1980 sapevano delle scommesse clandestine. Ma non volevano rompere il giocattolo calcio».
Non gliel'hanno perdonata.
«E' mancato solo che mi mettessero sotto una macchina. Ma la stima delle persone normali non m'ha mai abbandonato».
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