«Referendum, trattiamo anche se vince il no»

Calderoli: «Dire no significa bloccare la trasformazione del Paese»

Marianna Bartoccelli

da Roma

Ancora una volta è Bossi a sparigliare e a uscire fuori dalla contrapposizione no-sì sul referendum confermativo per la riforma costituzionale varata nella passata legislatura. Anche se dovesse vincere il no al referendum proposto dall’attuale maggioranza quando era all’opposizione, il leader della Lega non esclude la possibilità di un tavolo comune per modificare la legge di riforma: «Noi siamo sempre disponibili a riformare» spiega Umberto Bossi, «a noi interessa che passi la parola federalismo: tutto il resto si può modificare». Bossi comunque aggiunge che se dovessero vincere i no, «addio riforma». Ma il dato principale è che dà la sua parola, in caso di vittoria del sì, ad «aprire un tavolo per riformare, per migliorare, per mettere dentro tutti». Un’apertura quella di Bossi che ha ricevuto il plauso da un alleato non molto amico, Bruno Tabacci dell’Udc, sostenitore del no al referendum. «È quello che penso anch’io - sostiene Tabacci -, bisogna spoliticizzare il referendum e preparare le condizioni di una nuova costituente da tenere in tempi ragionevoli». Non è una novità la posizione di Bossi e del suo partito. Già nei giorni scorsi l’ex ministro delle riforme, Roberto Calderoli, aveva parlato di «sì condizionato al dialogo sulla riforma costituzionale» e del significato da «costituente» di questa legislatura, capace di apportare le modifiche in un anno, lontano da scadenze elettorali. «Ma dire no alla riforma - aggiunge Calderoli - vuol dire bloccare ogni tipo di trasformazione nel Paese. Non solo. Resterebbe in vigore la riforma del titolo V che, anche a detta dei suoi stessi padri, è una schifezza». A Bossi dice no Marco Rizzo, eurodeputato del Pdci, che dice no a «possibili inciuci».
Il giorno dopo la proposta iniziale di Tremonti di un tavolo bipartisan per discutere della riforma costituzionale ed evitare che la vittoria di un no al referendum possa cancellare la possibilità di riforma, il dibattito registra un «sì condizionato» al dopo referendum anche da Piero Fassino. Anche se il segretario dei Ds pone come condizione la vittoria del no al referendum: «Prima liberiamo il tavolo, togliendo di mezzo con il referendum questo pasticcio. Poi sediamoci a discutere per una buona e vera riforma costituzionale», così fa sapere attraverso una sua intervista al Corriere della Sera. «Con il no non difendi nulla. Noi vogliamo l’interesse nazionale sulle cose fondamentali. Votiamo per il sì, perché già la parola sì dice una cosa positiva», ribadisce ai microfoni di Telecamere il vicepresidente di Fi Giulio Tremonti, spiegando che questo suo appello è bipartisan. Ripartire dalla legge elettorale e dal federalismo fiscale solo dopo la vittoria del no al referendum, afferma il portavoce nazionale del Comitato promotore del referendum, l’ex ministro Franco Bassanini. Sulla stessa linea il ministro verde Pecoraro Scanio e il capogruppo della Rosa nel Pugno Roberto Villetti. Tutti d’accordo quindi su un possibile tavolo di trattative comuni, ma solo dopo il referendum. Intanto Marco Follini nega l’ipotesi di lasciare il suo partito, proprio per la posizione al referendum e mercoledì prossimo alla direzione nazionale dell’Udc illustrerà «le ragioni che lo portano a chiedere la libertà di coscienza al referendum».

Altra iniziativa trasversale quella di Benedetto Della Vedova, radicale schierato a destra, che ha scritto a Marco Pannella invitandolo a non votare no al referendum «con coloro che, ancora spinti dal furore anti-berlusconiano, preferiscono che la riforma fallisca, benché ampiamente positiva, piuttosto che riconoscere al Cavaliere e alla sua coalizione il ruolo di costituenti».

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