Islam contro New York = 11 settembre. Islam + New York = Dubai. Bisogna venirci a Dubai, per capire la capricciosa varietà del mondo. Dubai è davvero la New York del deserto, l’ebbrezza dei grattacieli che colse chi sbarcava nel Novecento nella Grande Mela si è trasferita là. Dubai e la vicina Abu Dhabi sono la New York del terzo millennio. Che aspiri a prenderne il posto lo prova anche il richiamo sinistro ad altre Twin Towers. A Dubai, Burj Al Khalifa, inaugurata da poco, è la torre più alta del mondo, supera gli 800 metri che si percorrono con l’ascensore in meno di un minuto. Una meraviglia dell’uomo, soprattutto di sera, sintesi tra la modernità occidentale e il minareto.
Il razzo di Allah. Lo stesso Dio che arma i terroristi ispira queste magiche imprese da mille e una notte: gli uni distruggono torri, gli altri le edificano in nome dello stesso Allah.
Ma Dubai è una spremuta globale di architetti famosi, capitali e design, Armani in testa. Poi la crisi finanziaria della holding di Dubai di due anni fa; ora però ha ripreso a pulsare, nuovi grappoli di grattacieli stanno sorgendo. Dubai non è il regno del pacchiano, come pensavo insieme a tanti. A Dubai bisogna venirci per capire che i grattacieli possono ancora farti provare una meraviglia infantile, come le strade, gli hotels, perfino i centri commerciali, e addirittura i giochi delle fontane. Vedi palazzi bellissimi, alcuni splendono di oro, altri metallici, tutti imponenti, con profili di lussuosa bellezza, curve nei cieli attraverso un’esuberanza di sagome. Più le immagini dello sceicco Mohammed, padrone di tutto. Vedi la Vela, l’hotel più maestoso e costoso del mondo, vedi «The Mall», un ipermercato grande come cinquanta stadi di calcio, e dentro piste da sci, cascate mirabolanti e un acquario popolato di squali e di pesci piatti, enormi razze che ti guardano come fantasmi dal volto umano, e muovono le labbra come se ti volessero sussurrare qualcosa.
La metro panoramica sfreccia tra i grattacieli e la sopraelevazione non disturba, come a Genova o a Roma, ma s’innesta magnifica nel paesaggio ipermoderno. Vedi le strade di marmo, lucidate come una casa, le spiagge refrigerate, vedi Palm Jumeirah, l’isola artificiale eretta sui rifiuti, a forma di palma con i suoi rami di ville e di hotel che s’irraggiano sul mare, e un treno attraversa il suo tronco, sospeso sull’acqua. Senti di vivere in una Svizzera solare, avverti che qui tutto è frutto dell’uomo, niente era in natura. Non c’è paesaggio naturale, oltre il sole e il mare, tutto è costruito dall’uomo. Un sole potente, senza pretesti di nuvole, un cielo sgombro, il Nulla riempito dall’uomo. Ti riconcili con la creatività umana e la modernità spettacolare. Non avverti il kitsch, il fastidio per la finzione che si prova quando vai a Montecarlo o a Porto Cervo. Perché il kitsch è imitazione stucchevole dell’esistente, la caricatura dell’autentico, eccessiva e leccata. Qui no, perché il tutto sorge dal nulla, spunta dal deserto, che non è punto d’arrivo come nelle società nichiliste, ma è punto di partenza.
Chi dice che l’unico modo per sconfiggere il fanatismo islamico è corromperlo con i consumi e i costumi dell’Occidente, non ha previsto la variabile Dubai, dove l’ipermodernità, l’ipermercato, l’iperconsumo coabitano con la visione araba e sultanesca di lussi e lussurie, da paradiso d’Allah. Il lago artificiale che si stende sotto la Torre e offre ogni pochi minuti uno spettacolo eccezionale di fontane danzanti con le luci, i fuochi che spuntano dall’acqua e la musica che le accompagna, è una gigantesca Alhambra ultramoderna. Il principio femminile è rappresentato dall’acqua che danza in zampilli come odalische, e il principio maschile è rappresentato dal fuoco che fiammeggia sull’acqua e penetra tra le fontane flessuose al ritmo della musica. A Dubai non ci volevo venire, convinto che l’ipermodernità può essere usata ma non ammirata. Si ammira la bellezza della natura o dell’arte, i capolavori della tradizione, non i monumenti al futuro. Ma mi sono ricreduto. Pensavo di vedere paesaggi disumani e invece ritrovo il trionfo dell’ingegno umano, la potenza creativa che, mediante la ricchezza degli emiri venuta dal nulla, petrolio e finanza, trasforma il deserto in civiltà.
Dubai mi ha lasciato uno sciame d’interrogativi. Quanto dura l’incantesimo della modernità fondato sulla sorpresa rispetto al fascino dell’antico che riposa invece sulla durata? Tra breve queste meraviglie non più scintillanti saranno obsolete, superate da altri prodigi, o, al più, modernariato, mentre Notre Dame e il Colosseo resteranno potenti attrattive? Ma colpisce soprattutto il confronto. Mi chiedo perché da noi non è possibile inventare dal nulla città future, isole artificiali, vertiginosi grattacieli? Da noi il magnifico, la grandezza, l’avvenire si sono ritirati; amministriamo, e male, solo i reperti gloriosi del passato. Perché in una delle zone depresse del sud d’Italia dove non c’è nulla, non si può edificare una città tecnologica ipermoderna così, magari una «Dubari», nel senso di Bari due? Se la Palma a Dubai sorge sull’immondizia compressa, perché non rivestire le montagne di rifiuti in Campania? C’è il Monviso, ci può stare il Monnezza... Perché ci tocca solo vivere di rendita e veder franare il passato come a Pompei mentre ci neghiamo il futuro?
Diranno che è colpa dei verdi, dei pretori d’assalto, dei lacci burocratici, delle mafie, di chi volete voi.
Sarà, ma non pensiamo più in grande, non siamo più in grado di fondare, ogni novità è un cascame, i nuovi quartieri fanno schifo, le nuove chiese istigano all’ateismo; è possibile che non troviamo un linguaggio per il futuro e siamo prigionieri del passato? Del mondo arabo e islamico, la competitiva ipermodernità preoccupa più del suo feroce arcaismo. Noi lasciamo crescere i deserti del nulla, apatia e denatalità, e loro invece, forti del tesoro nero che giace nel deserto, riescono a farli fiorire in questo modo... Dubai è ancora una favola avveniristica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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