Resa dei conti tra gli ex Ds

Indietro non si torna. Il colpo è stato duro, la ferita sanguina ancora, ma «indietro non si torna». Lo slogan riecheggia a lungo durante l'assemblea degli iscritti di Sinistra democratica, convocata lunedì sera al Teatro della Gioventù, «per analizzare l'esito disastroso delle urne e riproporre il progetto di una grande forza politica della sinistra». Parole e musica di Stefano Quaranta, coordinatore regionale di Sd che traccia la via maestra da seguire, dopo la batosta elettorale. «Io non sono disponibile a entrare nel Partito democratico perché non rappresenta tutta la sinistra e neppure la sinistra che penso io».
Appunto: indietro non si torna. Come ricorda lo striscione bianco a caratteri (rigorosamente) rossi, issato nella sala Barabino. L'incontro, al quale partecipano molti compagni di Rifondazione comunista, diventa subito una lunga seduta di autocoscienza collettiva. «Il voto è andato al di là di ogni più negativa previsione per motivazioni in parte contingenti (vedi composizione delle liste), in parte culturali», scandisce Stefano Quaranta. Che snocciola impietosamente la lunga litania di errori commessi a suo giudizio dalla Sinistra Arcobaleno: «Siamo stati puniti perché era troppo evidente che il nostro - anche per una questione di tempo - fosse un cartello elettorale e non un vero progetto politico; perché venivamo da un'esperienza di governo deludente nella quale molte promesse fatte ai cittadini sono state disattese; perché l'unico vero collante è stato l'antiberlusconismo». L'appello al voto utile poi ha fatto il resto.
Da dove ripartire? Naturalmente dal progetto di una grande sinistra italiana ben sapendo che il Partito democratico «non è il punto di partenza di nulla, ma solo la sommatoria di nuclei dirigenti, mentre la costituente comunista e la federazione dei partiti non rappresentano le risposte giuste». Applausi, anche se qualcuno tra il pubblico storce il naso. Mario Poggi ad esempio si chiede «che cosa sia veramente questo progetto della Sinistra democratica» e punta il dito contro i tanti no (alla Tav, all'inceneritore) contenuti nei fin troppo entusiastici manifesti elettorali. Gli fa eco un compagno dell'entroterra: «Alla fine abbiamo perso perché non siamo stati capaci di comprendere le esigenze della famiglia, del lavoro, della sicurezza, della sanità». Altri applausi.
Per Simone Leoncini (Rifondazione comunista) di fronte al senso di smarrimento collettivo bisogna rompere con quella sinistra «che pensa ancora ai gulag e plaude alla repressione attuata dal governo cinese». Ma l'autocritica più feroce arriva, in chiusura di assemblea, da Titti Di Salvo, rappresentante del direttivo nazionale, che prende la parola per ultima: «Il fallimento della proposta politica della Sinistra arcobaleno è un fatto serio, al di là del drenaggio di voti causato dall'invito al voto utile». Un fatto grave che delinea «un vero e proprio terremoto politico perché si è perso il senso di che cos'è una cultura politica della sinistra». Non basta.

«Gli italiani - rincara la responsabile del direttivo nazionale - hanno individuato nel nostro raggruppamento la cosiddetta casta e hanno avvertito che il nostro non era un progetto politico, ma solo un cartello elettorale. Insomma si è trattato di una crisi politica come crisi di rappresentanza». Però indietro non si torna.

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