Ridiamoci sopra con il Berto di "Oh, Serafina!"

La tecnica ha una morale o la morale della tecnica è la tecnica stessa? Sospendiamo il giudizio per un attimo di buonumore (nero)

Ridiamoci sopra  con il Berto di "Oh, Serafina!"
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Capire dove vada la cultura del lavoro, e addirittura capire se ne abbiamo una a disposizione, è una necessità sempre più evidente. Michel Onfray pubblica una bella rivista, Front Populaire, che guarda contemporaneamente ai grandi movimenti di destra e sinistra, uniti dallo scetticismo verso ciò che ci viene venduto come «progresso». L'ultimo numero, uscito venerdì scorso, presenta un enorme dossier sul problema della rivoluzione digitale, dell'intelligenza artificiale, dell'integrazione (fisica) tra uomo e macchina. C'è chi prevede la fine del lavoro e chi ritiene che si vada verso una nuova industrializzazione. C'è chi prevede una nuova questione sociale, in cui la lotta di classe sarà sostituita dalla lotta tra chi sarà integrato con le macchine e chi non se le potrà permettere. Sembra fantascienza ma è il nostro futuro prossimo. Non parliamo di secoli a venire ma di decenni. Front Populaire è una lettura molto interessante, che vi consigliamo. Eppure manca qualcosa. La domanda a cui dobbiamo rispondere, la sfida di questo millennio, è la seguente: la tecnica ha una morale o la morale della tecnica è la tecnica stessa? Sembra un gioco di parole ma non lo è. Se la risposta corretta è la seconda (la tecnica stessa), forse abbiamo un grosso problema: sarà fatto tutto quello che è possibile fare, con tanti saluti all'«umano» così come lo abbiamo conosciuto da quando la nostra specie è uscita dalle caverne. Tutto concorre a cercare la risposta, e certamente aiuta molto capire cos'è il lavoro e come cambierà. Nel bellissimo articolo di Giuseppe Lupo che potete leggere in queste pagine, appare lampante l'atteggiamento della maggioranza dei nostri scrittori: lo sdegno apocalittico di fronte alla società di massa e all'omologazione. Bisognerà andare oltre, perché l'orizzonte tecnologico si è spostato molto più avanti. Nelle pagine seguenti, troverete opinioni discordanti su simili questioni.

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Non sarà il contributo teorico più rilevante, forse neanche quello letterario, ma sicuramente è il più divertente: il romanzo Oh, Serafina! di Giuseppe Berto, ristampato di recente dall'editore Neri Pozza. Il libro fu pubblicato da Rusconi nel 1973. Tre anni più tardi divenne un film di Alberto Lattuada con Renato Pozzetto e Dalila di Lazzaro. Berto racconta la storia di un industriale, un imprenditore del bottone, che non vuole cambiare nulla in fabbrica per non disturbare gli uccellini dell'attiguo parco, con i quali passa quasi tutto il suo tempo, mentre la moglie lo tradisce e ordisce. La scelta francescana condurrà il protagonista alla rovina. Ma nella rovina troverà la soluzione inaspettata di tutti i suoi problemi e perfino l'amore vero. L'ironia di Berto agisce a tutto campo. Non si salva nessuno, in questa fiaba nera come tutte le fiabe che si rispettino.

Berto incenerisce la fabbrica, con i suoi rapporti sindacali, le sue beghe interne, i tirapiedi, gli ambiziosi e i finti rivoluzionari. Poi fa a pezzi la famiglia, covo di rancori più espressi che repressi, e il senso tutto borghese della dignità, allegramente calpestata. Quindi entra col piede a martello sulla psichiatria e sui manicomi (siamo nel periodo anteriore alla legge Basaglia, che risale al 1978).

Infine conclude alla grande instillando il sospetto che l'ecologismo radicale, tutto cip cip con gli uccellini del parco, sia una colossale idiozia-menzogna ordita (quasi) inconsciamente per tirarsi fuori dal mondo reale. Resta però il fatto che il problema dell'ambiente è colto dallo scrittore con occhio lungo.

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