A Gravina, in definitiva, un padre è stato accusato di aver ammazzato i figli e una volta in galera ha dovuto apprendere la fine orrenda che avevano fatto. L’accusa a Filippo Pappalardi ora non esiste più: ed è un peccato che nessuno abbia fatto in tempo a candidarlo. Non dite che è una battuta, perché c’è quel genio di Antonio Di Pietro che intanto ha pensato di candidare una delle protagoniste dello scandalo pedofilo di Rignano Flaminio, la cittadina laziale che ci ha fatto vorticare nel delirio mediatico per mesi.
Paralleli? Quanti ne volete. Anche lì un gruppo di maestre incarcerate ha dovuto subire un linciaggio terribile tra facilonerie investigative, intercettazioni, fiaccolate, comitati e psicologi da talk show; anche lì gli indagati sono stati scarcerati perché financo la Cassazione ha spiegato che non c’erano indizi; e anche lì, come a Gravina, tutto si è giocato senza che neppure fosse iniziato un processo.
La differenza abissale è che Di Pietro non ha candidato una maestra di Rignano Flaminio, ha candidato una delle madri, un’arroventata accusatrice già animatrice di comitati, neo esperta di pedofilia, ovviamente impazzita per la tv. Le indagini di Luigi De Magistris non hanno portato a nulla, e Di Pietro, invano, ha cercato di candidarlo. Ora ripiega dove può.
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