Alla riscoperta della filosofia di Michele Federico Sciacca

Un saggio per scoprire il pensatore italiano che amava la trascendenza

Matteo Sacchi
Uno dei temi più dibattuti della filosofia è quello della trascenenza. E la discussione verte ormai sulla possibilità o meno di pensare una metafisica. Per moltissimi filosofi, da Kant in poi, ciò che è oltre la materia, oltre la fisica, è per sempre precluso all'essere umano. È noumeno inconoscibile. Una scelta epistemologica che per molti versi porta all'oblio di Dio, o meglio porta il pensatore a porre Dio fuori dall'orizzonte filosofico. Su posizioni molto diverse da queste, che hanno assunto un ruolo dominante tra diciannovesimo e ventesimo secolo, si poneva uno dei più importanti, ma poco studiati, filosofi italiani: Michele Federico Sciacca (1908-1975). Sciacca, che pure non amava questa definizione, è stato, infatti, uno dei più importanti esponenti della corrente spiritualista che ha cercato di riavvicinare la fede e il dibattito filosofico. Il tutto rifiutando la filosofia idealista e gentiliana in cui si era formato e tornando alla radice agostinaina della filosofia cristiana. Ora su Sciacca e sul suo pensiero è disponibile un agile volume che raccoglie gli studi di Alessandra Modugno: Interiorità e trascendenza, la lezione di Sciacca per il terzo millennio (Armando editore, pagg 127, euro 13).

È una raccolta di saggi, abbastanza tecnici nel linguaggio, che consente di avvicinare il pensiero di questo pensatore a lungo «ghettizzato» (piaceva poco anche ai filosofi cattolici neoscolastici). È un bello stimolo alla riflessione, anche per chi è poco incline alla trascendenza.

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