Finalmente il sogno, lo stesso del suo grande amico Pierluigi Bersani, si avvicina. Vasco Errani entrerà al governo in rappresentanza della Ditta emiliana, ovvero quanto resta del Pci-Pds-Ds che fatica a fondersi nel Pd. Errani è l'erede della schiatta più vitale della sinistra italiana: quella color rosso antico e rosso fuoco; quella dell'intreccio tra partito, amministrazioni locali e affari delle coop; quella che non potrà mai digerire Matteo Renzi e si opporrà fino alla morte al Partito della nazione con Verdini e Alfano. È l'ultimo dei mohicani. Finché ci sarà lui, si potrà dire che il Pd renziano - nonostante abbia abolito l'articolo 18 e voglia cancellare le tasse sulla casa come fece Silvio Berlusconi - è ancora un partito di sinistra.
Non è chiaro se Errani otterrà la poltrona da ministro dello Sviluppo economico, la medesima che consentì a Bersani di emettere le «lenzuolate» liberalizzatrici, o da semplice sottosegretario. Per lui sarà un traguardo e al tempo stesso un risarcimento. Un premio per aver condotto tenacemente in porto la trattativa sulla riforma del Senato per conto della Ditta; un indennizzo per le dimissioni da governatore dell'Emilia Romagna rassegnate dopo la condanna in appello per lo scandalo Terremerse. In realtà la sua promozione è soprattutto una tassa che Renzi deve pagare alla minoranza del Pd. Soltanto Prodi e Monti in Italia amano le tasse, e il premier salda questo conto malvolentieri.
Vasco non è emiliano: è romagnolo, di Massa Lombarda, provincia di Ravenna. Nelle vene gli scorre sangue più rosso e più caldo che ai bolognesi (Prodi) o ai piacentini (Bersani), ma l'attaccamento al potere è il medesimo, e così pure l'insofferenza per l'ex sindaco di Firenze che ha soffiato il partito e Palazzo Chigi al povero Bersani vincendo un paio di primarie. Il vecchio compagno Errani si è speso per l'accordo perché le spaccature non fanno comodo a nessuno: né al premier, che vorrebbe votare dopo le riforme, ma nemmeno alla Ditta.
In Emilia Romagna le cose non vanno bene per il Pd. Gli elettori sono disorientati: alle regionali dello scorso novembre ha votato il 37,7 per cento contro il 68,1 del 2010: metà. Il nuovo governatore Stefano Bonaccini, bersaniano passato con Renzi, è una figura poco carismatica che fatica a contenere la crescita dei grillini. In primavera si vota per il sindaco di Bologna e i timori sotto le Due torri crescono ogni giorno che passa. Dunque, meglio trovare un'intesa. La troika Bersani-Errani-Migliavacca, i nostalgici dell'apparato dell'ex Pci, ha alimentato la tensione sul nuovo Senato per poi trovare un accordicchio, il cui effetto più eclatante sarà proprio quello di mettere uno come Errani a stretto contatto con Renzi.
Il buon Vasco dice di non cercare né volere posti. Ha bollato come «stravagante e impossibile» l'ipotesi che si stia allontanando da Bersani sulla via del renzismo. Si è ritagliato un ruolo da pontiere, da grande saggio stimato e rispettato. In realtà, qualche scheletro nell'armadio Errani lo conserva ancora. Le dimissioni da governatore sono giunte dopo la condanna in secondo grado (poi cancellata dalla Cassazione) per lo scandalo Terremerse; ma egli era giunto a quel punto già molto logorato e ha utilizzato quella sentenza per un'uscita di scena plateale con il partito che gli ha reso l'onore delle armi.
Quello era per lui il terzo mandato, in deroga alle regole del Pd: ma il rinnovamento è un fenomeno che non riguarda tutti. Soprattutto non poteva toccare uno degli amministratori locali più potenti d'Italia. All'inizio del 2013 Errani era governatore rieletto in carrozza per la terza volta, presidente della Conferenza delle regioni (lo è stato dal 2005 al 2014, il mandato più lungo dalla creazione dell'ente nel 1981) nonché braccio destro di Bersani: si preparava a diventare sottosegretario alla presidenza del Consiglio se l'allora leader del Pd fosse riuscito a formare il governo.
In pochi mesi per Errani è cambiato tutto per colpa degli scandali che hanno coinvolto la sua amministrazione. Il caso dei rimborsi pazzi dei consiglieri, a partire da quelli Pd. Le indagini dei pm bolognesi sulle auto blu della giunta. I tre milioni distribuiti a 184 dirigenti come premio produttività. Le denunce degli ambientalisti per disastro ambientale colposo dopo l'alluvione del gennaio 2014 nel Modenese, già colpito dal terremoto. E naturalmente, le polemiche sulla ricostruzione post-sisma.
Ma il casus belli è stato la sentenza d'appello sul caso Terremerse, lo scandalo (denunciato nel 2009 dal Giornale ) del finanziamento regionale di un milione di euro concesso allegramente alla cooperativa di cui era presidente Giovanni Errani, fratello maggiore di Vasco. Il governatore era finito sotto processo per la contraddittoria memoria difensiva redatta dagli uffici regionali che aveva indotto la procura a sospettare che l'intento fosse quello di coprire Errani senior. Assolto in primo grado da un gup di Magistratura democratica, Vasco è stato condannato in appello per falso ideologico. Di qui le sdegnate dimissioni.
Ma la Cassazione ha annullato la sentenza di secondo grado con rinvio, ordinando cioè un nuovo processo d'appello. Vasco Errani non è dunque fuori dalle sabbie mobili giudiziarie. La sua è una vittoria a metà, presentata tuttavia come una riabilitazione completa: assolto in primo grado, dunque in campo. Per lui nessuna gogna come quella riservata per esempio a Giorgio Orsoni, sindaco di Venezia costretto alle dimissioni e abbandonato a se stesso dal Pd.
Errani ha invece lasciato volontariamente, ha accettato di restare nell'ombra per oltre un anno.
Ma dietro le quinte si manovra con maggiore tranquillità. E ora è arrivato il momento delle rivincite. La prima è moneta sonante. Il 1° giugno scorso è scattato il vitalizio per i 19 anni e 8 mesi di presenza in regione. Fanno un assegno mensile lordo di 4.125 euro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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