Roma - Mai momento fu così propizio per i partiti «anti casta» (tra molte virgolette), mai furono così incasinati al loro interno. Da Grillo, cinque stelle e mille dissidi, a l’Italia dei valori, sull’orlo del disfacimento (come gruppo) alla Camera, a Vendola che, inseguito dalle inchieste giudiziarie e annichilito dalla svolta tecno- quirinializia di Monti, è già passato da brillante promessa a solito politicante, tenuto alla larga persino dalla Cgil. Il più favorito dall’odio sociale per la classe politica, cioè Beppe Grillo, sale nei sondaggi ma non se la passa benissimo dentro il suo M5S. I grillini si scannano su internet e meet up, divisi su più linee, e qualcuno lo si mette all’angolo, com’è successo al capogruppo Cinque stelle in Regione Emilia- Romagna, Andrea Defranceschi, colpevole di aver solidarizzato con l’Unità che è finanziata dallo Stato, cosa che Grillo combatte.
Da reietto (si è autosospeso) ora si sfoga: «Bisogna fare pulizia nel movimento - dice al Riformista - Grillo è circondato da gente malfidata, mossa da ambizioni individuali, invidie, gelosie...». In effetti girando tra i siti grillini se ne trova parecchia. Anche perché qualcuno si «dimentica» il codice di Grillo, anche sui vitalizi. È appena successo che un grillino consigliere regionale del Piemonte, Francesco Boilè, abbia ammesso un tragico e surreale «errore», che gli è costato - finora - solo una discussione col suo capogruppo, Davide Bono (tutta leggibile su forum. piemonte5stelle.it ). Quale errore? Ha rinunciato al suo vitalizio, com’è d’obbligo per gli eletti di Grillo, ma ha compilato il modulo della reversibilità, garantendo così un vitalizio alla moglie (lo dice Bono, non noi). Nelle discussioni online se le sono date di santa ragione (uno dei complimenti: «cagasotto »),poi quando il consigliere leghista Paolo Tiramani ha tirato fuori la storia del vitalizio alla moglie, lui ha ammesso il «mero errore formale di sottoscrizione della reversibilità». Ora, a quanto risulta, continua a versare la quota per il vitalizio della moglie (non si può revocare fino a fine legislatura) ma rifonde il movimento di quanto gli toglie. Il capogruppo grillino su Facebook dice diplomaticamente che «non c’è nessuna faida tra me e Fabrizio», ma i problemi tra i grillini ci sono eccome.
E Di Pietro sta meglio? Macché. Col Pd nel caos potrebbe volare, in realtà soffre. Da 29 deputati del 2008 se ne ritrova 21, e il minimo legale alla Camera è 20, se un altro se ne va passano al Misto. Il mese scorso se n’è andato Cambursano, tesoriere del gruppo, mentre al momento si parla di due scontenti dall’oltranzismo: Nello Formisano e Gaetano Porcino. Al Senato invece vacilla Pancho Pardi (ma lui smentisce), e anche lì siamo al confine: il numero minimo è 10, e l’Idv ha 11 senatori. Poi c’è la questione De Magistris, doveva essere il fiore all’occhiello dell’Idv di governo (locale) ma sta collezionando figuracce. L’unica consolazione è che pure Vendola naviga nei problemi. Ci confessa un dirigente nazionale della Cgil: «Vendola è alla fine della sua narrazione...», nel senso che ormai l’hanno mollato.
I legami con Don Verzè e alcune scelte sui termovalorizzatori in Puglia gli hanno fatto perdere la base della sinistra-verde radicale.
E poi la sanità pugliese, che per la Cgil stessa ha fatto pagare, con Vendola, «grandi sacrifici ai cittadini», mentre per la magistratura è costante oggetto di indagini, che hanno toccato anche Vendola. E infine Napolitano, che con la mossa Monti ha rotto il giocattolo di Nichi (e non solo il suo). Grillo, Vendola, Di Pietro: che scalogna, non tocca mai a loro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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