Addio all'ultimo custode della "napoletanità" artistica

Fondo la Nuova Compagnia di Canto Popolare e valorizzo la tradizione dimenticata. Anche alla Scala

Addio all'ultimo custode della "napoletanità" artistica
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È un volo con mille rotte quello per seguire tutte le opere e le iniziative di Roberto De Simone, morto l'altra sera a 91 anni nel Palazzo De Gregorio in via Foria a Napoli. Circa tre mesi fa era stato ricoverato per problemi respiratori successivi a un'influenza e poi non si era più ripreso completamente.

Il volo lunghissimo ed esploratore della sua carriera ha avuto un'unica destinazione, quella della riscoperta, della valorizzazione e anche della spiegazione della immensa tradizione artistica di Napoli. Prima con l'attività concertistica, poi con la Nuova Compagnia di Canto Popolare e infine con una imponente quantità di opere, regie, libri, lezioni. Nato ai bordi dei Quartieri Spagnoli, aveva nel sangue la missione dell'arte napoletana visto che suo nonno era nella compagnia di Salvatore De Muto, l'ultimo grande Pulcinella del palcoscenico. Studia dodici anni al Conservatorio di San Pietro a Majella poi passa dal concertismo alla composizione e lavora anche alle colonne sonore di spettacoli televisivi come La lunga notte di Medea di Corrado Alvaro o Edipo Re di Sofocle (ma nel 1978 scrisse anche la musica di Storie della camorra in onda su Raiuno). Non era un virtuoso di uno strumento, ma era un eclettico di valore al punto che, a neanche trent'anni, entrò nell'Autunno Musicale Napoletano come maestro sostituto e clavicembalista dell'Orchestra Scarlatti della Rai. Insomma, un letterato della musica che non aveva paura a scendere in campo. Lo fece anche nel 1967 dopo l'incontro con Eugenio Bennato, Giovanni Mauriello e Carlo D'Angiò che portò alla nascita della Nuova Compagnia di Canto Popolare. Immaginatevi il contesto. Era la seconda metà degli anni Sessanta, c'era una rivoluzione (anche) musicale e l'obbligatorio progressismo artistico imponeva di aprirsi a nuove influenze, a nuovi stili o addirittura a inventarli. Invece De Simone aveva come obiettivo il recupero e la riproposta del patrimonio culturale, teatrale e musicale della tradizione popolare campana non soltanto scritta ma pure orale.

Non a caso De Simone e gli altri facevano lunghi giri nelle campagne e nelle feste popolari per ritrovare la semenza musicale da far rifiorire. Il tutto è raccolto sotto l'egida della «napoletanità», qualcosa che non era mai sparita del tutto ma si era dispersa in mille rivoli, molti dei quali destinati a finire essiccati dall'oblio. È così che riprende vita, ma anche forma stilistica, un tesoro a più strati che aveva iniziato a formarsi già secoli prima, nel Settecento in particolare. Insomma all'inizio degli anni Settanta Roberto De Simone è ormai titolare di un enorme patrimonio culturale che riversa anche in lingua teatrale. È del 1976 La gatta Cenerentola, che è stato probabilmente il suo capolavoro e che in due anni è stato rappresentato 175 volte in ogni parte del mondo anche grazie a un delizioso e originale carattere fiabesco (era tratto da Lo cunto de li cunti di Giovambattista Basile del 1634). Il successo mina i rapporti all'interno della Nuova Compagnia, dalla quale si allontana a una decine di anni dalla fondazione. Nel frattempo aveva anche collaborato con Edoardo Bennato per il suo primo album Non farti cadere le braccia del 1973, altro caposaldo della napoletanità poi diventata di interesse globale.

Da allora De Simone inanella una quantità impressionante di lavori e collaborazioni, specialmente tra la fine degli anni Settanta e l'inizio dei Novanta. Tra l'altro, compone le musiche per Uomo e galantuomo di Edoardo De Filippo e pure quelle per La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia di Lina Wertmüller nel 1980, scrive il Requiem in memoria di Pier Paolo Pasolini nel 1985, cura la regia di decine di opere liriche per i maggiori teatri del mondo. Ad esempio allestisce il Don Giovanni, Così fan tutte di Mozart, Macbeth, Falstaff e il Nabucco di Verdi che ha aperto la stagione scaligera del 1986 ma non si ferma qui. Lavora anche su opere di Rossini come l'Italiana in Algeri e La serva padrona di Pergolesi.

Sterminata la produzione letteraria, tra le quali spicca davvero Carnevale si chiamava Vincenzo del 1977. Uno sforzo culturale che gli ha portato una valanga di premi e riconoscimenti come la nomina a Grand'Ufficiale al Merito della Repubblica.

Ed è anche per questo che ieri tanti intellettuali, di ogni schieramento politico, lo hanno salutato con parole al di fuori della retorica e quindi inconsuete in casi come questo. E in effetti Roberto De Simone è stato davvero decisivo nel ripescare e valorizzare una tradizione che mostra adesso tutto il valore culturale, uscendo dai luoghi comuni che l'avevano relegata a semplice folclore.

Se in questo periodo la «napoletanità» è davvero parte culturale riconosciuta

dell'italianità il merito è anche di questo musicista studioso che è vissuto guardando il passato per ridargli un futuro. E se persino nelle classifiche pop oggi si parla napoletano un po' del merito, o gran parte, è anche suo.

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