Milano - Rolly Marchi, trentino classe 1921, è il giornalista che in assoluto ha visto, ascoltato, vissuto e raccontato il maggior numero di Olimpiadi. Era presente a Garmisch nel 1936, accompagnato dal padre e non ha più mancato lappuntamento a cinque cerchi fino ai Giochi di Torino. Diciassette edizioni vissute in prima linea, un record ineguagliabile, «ma ora, per ovvi motivi anagrafici, ho 89 anni, non potrò andare a Vancouver. È il mio addio alle Olimpiadi». Lasciatelo parlare liberamente e pian piano vi racconterà oltre 50 anni di Giochi attraverso storie, racconti, aneddoti.
Tre i momenti che porterà sempre nel cuore. «Ero un grande amico di Zeno Colò - attacca -: penso che mi volesse bene, spesso abbiamo sciato insieme. Nel 1952 le Olimpiadi si tenevano a Oslo, ma la pista delle gare di sci alpino era a 130 chilometri, quasi tre ore di macchina. La squadra italiana, invece, alloggiava in un rifugio a 150 metri dalla partenza della discesa. Il giorno prima della gara Colò venne da me e mi disse: Senti Rolly, tu mi dai il buonumore, invece che farti tre ore di viaggio, resta qui, dormi con me. Fu una grande gioia, in verità quella notte Colò dormì ben poco per la tensione, la mattina alle 5.30 era già sulla pista per studiare al meglio la neve e preparare gli sci nel migliore dei modi. E vinse... è un ricordo che mi rimarrà per la vita».
Ancora. «Lillehammer 94, staffetta maschile di fondo: centomila tifosi presenti, in 30mila avevano dormito a bordo della pista, centomila bandierine norvegesi per lidolo di casa Bjorn Daehlie. E poi la volata testa a testa tra Italia e Norvegia con Fauner che batte di un metro il più grande fondista della storia... Unemozione unica».
Un altro ricordo è legato a Deborah Compagnoni e al suo infortunio ai Giochi di Albertville nel 1992. Racconta Marchi: «Alle Olimpiadi francesi, stavo seguendo una gara di fondo che si svolgeva in una valle diversa da quella dello sci alpino. Presi però un elicottero per non perdermi il gigante femminile, dove gareggiava Deborah Compagnoni. Ero a 50 metri dalla curva dove cadde e si ruppe i legamenti: piangeva e urlava. Io fui il primo italiano ad avvicinarmi a lei, vivemmo insieme questo grande momento di dolore»
Cè spazio anche per gli aneddoti. «Come quando nel 1952 a Oslo il francese Henri Oreiller cantò e suonò in onore della medaglia doro vinta da Zeno Colò in discesa libera», oppure «quando a Garmisch nel 1936 vidi Hitler alla partita di hockey tra Germania e Polonia. Era in tribuna, alla sua destra cera Goebbels: firmava gli autografi e dava la mano ai giocatori polacchi. Certo, rispetto alla grandezza di quelli di Berlino, i Giochi di Garmisch somigliavano più a una sagra paesana...».
Rolly Marchi ha visto scendere più sciatori di chiunque altro, conosce a menadito ogni singola storia. Chiedetegli di Alberto Tomba, vi risponderà che «a 14 anni era un sciatore normale, ma il padre sentiva che sarebbe diventato un campione e ha insistito con gli allenamenti: a 16 anni è esploso ed è iniziata la sua epopoea. Ero a Calgary quando ha vinto le due Olimpiadi, mica uno scherzo, si trovava le ragazze in camera anche senza volerlo...».
Su Vancouver, invece, «non sono molto ottimista, me lo sento dentro. Con un po di fortuna, possono salire sul podio Simoncelli, Blardone e la Brignone; sarei contento se vincesse Lindsey Vonn che nel 1999 ha vinto il trofeo Topolino, la mia grande creatura».
Dopo oltre 60 anni, le Olimpiadi perdono un pezzettino della loro storia. «E questo è il mio saluto - conclude Marchi -. Anzi, posso fare anche gli auguri a Ottavio Missoni, mio coscritto, che venerdì ha compiuto 89 anni?». Fatto.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.