La malattia rara e il farmaco salvavita negato: "Cosa aspetta Speranza a intervenire?"

Claudio è affetto da una malattia rara ma gli è stato negato in più occasioni il farmaco salvavita Ig-Vena. Il Policlinico: "Problema mondiale dovuto al crollo delle donazioni di sangue"

La malattia rara e il farmaco salvavita negato: "Cosa aspetta Speranza a intervenire?"

È la seconda che volta che accade. La prima lo hanno avvisato per telefono, risparmiandogli perlomeno il viaggio, la seconda invece lo ha scoperto direttamente in ospedale: il farmaco non c’è. In ogni caso una doccia gelata per Claudio Salvitti, romano di 58 anni, affetto da una malattia rara che nel giro di sei anni lo ha inchiodato alla sedia a rotelle. Si chiama miosite da corpi inclusi, aggredisce i tessuti muscolari, li infiamma e li sfarina. Non esistono cure. Si può solo rallentare con trattamenti spesso empirici. Tra questi la somministrazione di immunoglobuline. Quella che Claudio ha saltato per ben due volte.

Lunedì scorso è arrivato al Centro clinico Nemo del Policlinico Gemelli per il day-hospital mensile e l’hanno rimandato a casa. "È già successo a gennaio. Ogni volta che salto un ciclo sento che la malattia inizia a galoppare", si sfoga Claudio con un sussurro. "Scusa – ci dice – ma non riesco a parlare". È demoralizzato. Le cose ultimamente non vanno affatto bene. Lo scorso marzo sono iniziati anche i problemi respiratori. L’esame spirometrico dice che respira come se avesse un polmone solo. Non riesce più ad alzarsi dalla carrozzina, ad afferrare gli oggetti, a cambiare fianco la notte, non riesce neppure più a fare uno scarabocchio di firma. Sua moglie lo imbocca e lo solleva dal water. Claudio ha paura. Si domanda se tutto questo sia in parte correlato alla mancata somministrazione dell’Ig-Vena.

Così si chiama il farmaco salvavita che assume. Sono immunoglobuline. Plasmaderivati. Li produce la Kedrion e compaiono nell’elenco Aifa dei farmaci attualmente carenti aggiornato al 14 giugno. "Elevata richiesta: forniture discontinue", precisa il documento. Significa che le case farmaceutiche ne producono poco o comunque in quantità non sufficienti a soddisfare la domanda. La situazione, apprendiamo sempre dal dossier, è destinata a rimanere invariata sino al 31 dicembre. Claudio a questo punto inizia a convincersi che la sua terapia sia a rischio, la sua come quella delle decine di malati cronici che necessitano di immunoglobuline. "Abbiamo una chat e in questi giorni è incandescente. Oggi è successo a me – dice Salvitti – domani potrebbe accadere a un altro".

"Cosa aspetta il ministro Speranza a muoversi? Mi vuole vedere morto? Si parla tanto di carenza di materie prime, di carenza di energia, ma della mancanza dei farmaci da cui dipende la vita delle persone come me non ne parla nessuno. Perché – conclude Claudio – per la carenza delle immunoglobuline non c’è la stessa mobilitazione che vediamo per il gas?". La questione è seria e va ben al di là del caso di Claudio e del Gemelli. È una problematica avvertita a livello mondiale. A spiegarcelo è il dottor Marcello Pani, direttore della Farmacia ospedaliera del Policlinico. "Con la pandemia le donazioni di sangue sono diminuite drasticamente, al punto che le industrie farmaceutiche hanno difficoltà a reperirlo. Se manca il plasma, mancano gli emoderivati. Non mancano solo in Italia, ma in tutto il mondo".

Questo ovviamente complica anche il tentativo di reperire le dosi sul mercato estero. "La situazione – spiega – non è emergenziale, ma di carenza. C’è un tavolo tecnico attivato da Aifa proprio per razionalizzare le risorse di immunoglobuline disponibili sul territorio nazionale. Tutta la filiera si fa in quattro per cercare di gestire le criticità". Il medico è fiducioso. "Sono sicuro che con lo scemare della pandemia ripartiranno le donazioni e la situazione si normalizzerà. Anzi, ne approfitto per invitare chi legge a donare".

Il dottor Pani non conosce il caso di Salvitti, ci tiene comunque a fornire delle rassicurazioni: "È chiaro che in un percorso terapeutico devono essere rispettate fasi e tempistiche, rinviare o saltare un ciclo andrebbe evitato, o comunque gestito dal clinico, tenendo conto anche dei risvolti psicologici ed emotivi del paziente".

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