Se i genitori fossero stati più presenti Desirèe non sarebbe stata uccisa. È questo, in sintesi, l’assioma sul quale si regge la difesa di Salia Yusif, il 33enne ghanese che secondo l’accusa, assieme ad altre tre persone, la notte tra il 18 e il 19 ottobre scorso avrebbe lasciato morire la 16enne di Cisterna di Latina, dopo averla annichilita con un cocktail di sostanze stupefacenti e violentata più volte.
Tanto basta, secondo la difesa di Salia, guidata da Maria Antonietta Cestra, ad attenuare, se non a cancellare, la brutalità con la quale, per l’accusa, i quattro pusher stranieri si sarebbero avventati sul corpo di Desirèe, approfittando delle sue fragilità di ragazzina poco più che adolescente. “Se quel giorno fosse stata in casa con i familiari, io Salia Yusif non sarei in carcere”. Sono queste le parole con cui, secondo quanto riferisce Il Messaggero, il ghanese, incastrato dal test del Dna, rinvenuto sulla salma della giovane, prova a mitigare le accuse a suo carico.
Il tutto è stato messo nero su bianco in una querela che addossa ai genitori di Desirèe la colpa di quanto accaduto. La famiglia, infatti, secondo la tesi dell’avvocato di Salia, non avrebbe fatto abbastanza per affrontare “i problemi” che la ragazzina aveva “con gli stupefacenti”. La difesa dello spacciatore non esita ad ipotizzare il reato di “abbandono di minore” e “omessa vigilanza”.
Le dichiarazioni del pusher sono state messe agli atti durante l’incidente probatorio che ieri ha raccolto anche la versione dei fatti fornita dai testimoni chiave, che si trovavano quella notte nella "crack house" di via dei Lucani, a San Lorenzo.
Secondo il racconto di uno di loro i quattro africani accusati a vario titolo di omicidio volontario, violenza sessuale e spaccio, avrebbero impedito ai presenti di chiamare i soccorsi, dopo essersi accaniti ripetutamente sulla ragazza probabilmente già priva di sensi.Desirèe sarebbe stata ritrovata soltanto la mattina dopo, ormai esanime, nel rudere abbandonato nel quartiere San Lorenzo.
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