Il 20 luglio prossimo Cormac McCarthy compirà novant'anni. È forse il più grande scrittore vivente e l'editore Einaudi, in quarta, ci avvisa che il suo ultimo libro, Il passeggero, è «un'opera di apicale bravura». Così si riduce un dio in scatola da tonno. Cormac McCarthy, a quasi novant'anni, è al di là degli aggettivi voluttuosi, della volumetria dei giudizi: è effimero domandarsi se Il passeggero sia più o meno bello della Trilogia della Frontiera o de La strada; inutile capire, con l'illusorio metodo della critica letteraria, quanto McCarthy si sia distaccato dai padri putativi William Faulkner, per dire e in che modo si installi nell'epopea del Grande Romanzo Americano. Cormac McCarthy non fa più parte della «letteratura»: egli risponde al proprio mondo, che ha cominciato a prendere forma nel 1965, con Il guardiano del frutteto, e quel mondo, ora, mostra la sua materia oscura, le stimmate. Il passeggero, cioè, è un romanzo sapienziale, in cui McCarthy convoca i suoi eroi, trasognati «il Kid» e la cricca di felliniani freaks provengono da Meridiano di sangue; Bobby Western, il protagonista, ha la stessa stoffa del John Grady Cole di Cavalli selvaggi; l'amore tra i fratelli ricalca quello, di tenebrosa violenza, narrato in Il buio fuori , per redigere una sorta di memorabile, ghignante requiem.
La trama del romanzo, costruito a dittico, è facile. Siamo nel 1980: Bobby Western, bello, duro, dolente, lavora come sommozzatore. Scopre ciò che non deve scoprire: un JetStar adagiato, senza ammaccature, sul fondale oceanico, «le persone sedute ai loro posti, le loro chiome fluttuanti gli occhi svuotati di ogni intendimento». Qualcuno ha sottratto la scatola nera; i morti sono nove, il decimo passeggero è scomparso. Naturalmente, alcuni agenti fermano, interrogano, inseguono Bobby, che si dà alla macchia. L'altra parte del romanzo riferisce le allucinazioni di Alicia, la sorella di Bobby, internata in un ricovero per malati di mente, morta anni prima. Alicia è bellissima, intelligentissima, ha lavorato con il grande matematico Alexander Grothendieck. La sua mente è gioiello inafferrabile. Bobby è innamorato di lei. Alicia e Bobby sono i figli di un fisico impegnato nel Progetto Manhattan per la costruzione della bomba atomica, che a Oak Ridge ha conosciuto la moglie (battuta laconica: «Western era pienamente consapevole di dovere la propria esistenza ad Adolf Hitler»). I grandi momenti della storia occidentale Hiroshima; l'uccisione del Presidente Kennedy vengono rivelati nella loro natura ambigua: «Il mondo è un posto ingannevole. Molte delle cose che vedi non sono più realmente qui. Sono solo un'immagine residua». Forse il creato ha un errore nella radice, forse la violenza è l'eloquio stantio dei derelitti figli delle tenebre. I giusti deflagrano nella follia; oppure s'infognano nella somma fuga. Il passeggero è scritto come un immane dialogo platonico, secondo le formule aurorali del Vangelo apocrifo di Tommaso: «Ho gettato fuoco sul mondo, ed ecco, lo custodisco fino a che divampi». Cormac McCarthy sceglie la via ardua, teorizzata da Hermann Broch, del romanzo conoscitivo per raccontare la disfatta di questo mondo. «Pietà è la contrada dell'uomo solo», scrive Bobby, ai margini di tutto.
Chi ha funestato la nostra atavica fede? E ora, come si vive? La formula di McCarthy è di spietata innocenza. Scrivere lettere d'amore ai morti e rimpiangere un mondo che non è mai esistito. Del resto, dopo aver letto un romanzo come questo devi gettarlo contro una finestra e scappare.
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