È stato definito una «brillante promenade fra i maggiori eventi culturali degli ultimi cento anni» (Giuseppe Lupo), ma «Per esempio il Novecento» di Walter Pedullà (Rizzoli, 570 pagine, 21,50 euro) è molto di più. Nelle intenzioni dell'autore è una ricognizione di quanto di meglio il «secolo breve» (per dirla con Hobsbawm) ha prodotto nell'orticello della letteratura italiana. Nei fatti, però, è uno stimolo generoso ed efficace a guardare oltre i facili schematismi degli storici della letteratura e degli accademici. Dal Futurismo a D'Arrigo, dalla «lezione» debenedettiana a Testori, il volume offre una lettura mai scontata di alcune delle pagine più significative della letteratura novecentesca, senza ambizioni di completezza e di rigore accademico. Con un ambizione invero più audace, quella di arrivare al nocciolo di un autore. A quel nucleo magmatico fatto di necessità espressiva ci arriva però soltanto quello speleologo della penna che sa usare i mezzi linguistici adeguati per la bisogna.
Dicevamo un testo antiaccademico (fatto da un accademico di vaglia, per giunta) dove è bandito non soltanto il linguaggio colto (e fin troppo ermetico) tipico dei topi di biblioteca. Anche le note al testo qui non trovano asilo. Niente apparati, niente indici analitici. Non solo la vita ma anche la critica è romanzo. O meglio racconto. O meglio ancora racconto «critico». Si può disporre una lettura «militante» di un'opera senza tediare il lettore e anzi provocandolo sullo stesso piano del romanziere o del poeta: vale a dire partendo dalla lingua e dai corticircuiti di una retorica mai fine a se stessa e mai ingessata.
Walter Pedullà (classe 1930) è professore emerito di Letteratura italiana contemporanea alla Sapienza di Roma, dove ha insegnato per oltre sei lustri. All'attività accademica ha sempre associato un ruolo «militante» che gli ha consentito di sentire costantemente il polso delle nuove leve letterarie. Non si è mai sottratto, cioè, al confronto con i giovani colleghi e con gli autori nuovi e meno nuovi (compresi quelli in erba). Una dote questa che gli deriva da un insegnante di eccezione, che ha segnato in maniera indelebile il suo percorso di formazione prima e la sua carriera critica poi. Stiamo parlando di Giacomo Debenedetti che - non a caso - occupa la parte centrale di questo ponderoso (ma agile e scintillante nelle provocazioni intellettuali) volume. «Per esempio il Novecento» può infatti essere letto come una sorta di «Romanzo del Novecento» quarant'anni dopo. Il libro di Debenedetti uscì postumo nel 1971 e rappresenta ancor oggi una lettura valida e invidiabile delle più urgenti poetiche letterarie novecentesche. Si tratta di un grande «racconto critico» che non rinuncia ad una vivacità letteraria per adeguare il dettato alle acrobazie delle intuizioni critiche. L'insegnamento debenedettiano - dicevamo - resta quindi valido. Anzi validissmo. Ed è lo stesso Pedullà a confessare il suo metodo proprio quando parla del maestro (di cui l'autore di «Per esempio il Novecento» è stato allievo negli anni in cui Debenedetti insegnava all'ateneo di Messina). «Il linguaggio - scrive Pedullà, parafrasando il suo maestro - vince solo quando incontra la vicenda destinatagli e quando fanno un tutt'uno con l'uomo il metodo mai prima usato e l'inaudita scoperta tecnica. Una volta veniva prima la vicenda, poi il linguaggio. Nel Novecento succede il contrario e tuttavia guai a lasciarli isolati». Ed è questo che il libro di Debenedetti, pardon, di Pedullà vuole individuare: una linea (magari non retta e continua) di tradizione letteraria fatta da autori che hanno dimostrato come quello che dicevano non si sarebbe potuto dire in altro modo. La loro qualità letteraria è contrassegnata da quell'urgenza di coniugare necessità interiori e capacità espressive. Ecco la linea debenedettiana: Proust, Joyce, Montale, Moravia, Saba, Bontempelli, Pirandello (solo per citarne alcuni). E quella pedulliana (quarant'anni dopo) non è da meno: Gadda, Landolfi, Savinio, Marinetti, Domenico Rea, Malerba e Pagliarani. I lettori sono avvertiti. Qui c'è il meglio della letteratura novecentesca, secondo Pedullà. Un utile strumento per dotarsi di una piccola biblioteca casalinga e per farsi un'idea profonda di ciò che è stato il Novecento. Ma non c'è spazio per lettori pigri e per lettori insicuri.
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