È lei, Rosy Abate, la regina della domenica sera. La fiction di Canale 5 (stasera andrà in onda la terza puntata) sta registrando ascolti record e i programmi di attualità ne soffrono la concorrenza. In particolare Fabio Fazio. La serie va oltre il 19% di share, il che impone alcune riflessioni.
La prima, piuttosto evidente: Che tempo che fa ha esaurito il proprio ciclo storico. Il meccanismo è sempre lo stesso, non si rinnova, non riesce a intercettare il pubblico più tradizionale di Raiuno. La formula talk intelligente e sinistrorso più interventi comici irriverenti di Luciana Littizzetto va avanti da troppi anni per non aver bisogno di un deciso restauro. Non è sufficiente, però, basarsi sull'insuccesso degli altri per spiegarsi l'ottima performance di uno dei personaggi più ambigui e meno unilaterali della tv recente. Rosy Abate, spin off della celeberrima Squadra antimafia, ha rivelato una delle giovani attrici italiane oggi più gettonate. Claudia Michelini incarna quello stile esasperato e ipertrofico delle scuole di recitazione. Una specie di Elio Germano al femminile, con l'immancabile tono da drammone universale anche quando legge la lista della spesa; abbonda in pianti, maschere di dolore, urla e strepiti, dotati entrambi peraltro di una fisicità non comune, esplicitata in corpi magri e gracili. La Michelini, che non sarà mai un sex symbol al pari di Miriam Leone, è una vera performer: può piacere o no, ma certo ha il carattere e la grinta da interprete viscerale che la rende credibile anche nelle situazioni più paradossali.
Pur essendo un puro prodotto commerciale, Rosy Abate funziona per la forza da tragedia greca che supera la sceneggiatura piuttosto labile. È il dualismo tra bene e male ad attirare la nostra attenzione, quel conflitto costante e irrisolto fin dai tempi di Eschilo e Sofocle che gli autori del programma hanno ben studiato. Non conta il background fortemente negativo del personaggio (Rosy Abate proviene da una famiglia di mafiosi). Anche quando agisce ai confini dell'illegalità noi stiamo dalla sua parte per la nobiltà del fine ultimo, la madre che vuole a tutti i costi ricongiungersi con il figlio. D'altra parte tale istinto giustifica tutto, morti ammazzati compresi.
Come Romanzo criminale, Gomorra (bellissimi i primi episodi della terza stagione), Suburra, anche Rosy Abate è fra le serie che, creando spettacolarizzazione ed empatia con personaggi borderline, possono generare il rischio di identificarsi con il male.
Spicca, d'altra parte, l'assenza di un eroe totalmente positivo, a meno di non considerare tale quello sforzo di redenzione che, nel caso di Rosy, passa attraverso il prolungamento di se stessa. Il figlio, che tanto ha sofferto, sarà certo migliore della madre.Andrebbe però evitato quell'accento siciliano così marcato soprattutto nelle figure di contorno che risultano davvero delle macchiette.
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