Adalberto Signore
da Roma
Il siparietto inizia con il deputato della Margherita Antonio Boccia che prende la parola e indica a Pier Ferdinando Casini le coordinate esatte di ogni seggio della maggioranza dove è inserita la scheda che serve per votare pur mancando il deputato. E così il presidente della Camera dà il via a un vero e proprio raid antipianisti che, tra le urla e gli scherni dei parlamentari di An, si conclude proprio sul seggio a fianco a quello di Boccia. Da dove viene sfilata lultima delle schede «orfane». Poi, subito dopo, il voto tanto atteso dalla Lega: la devoluzione passa anche la terza lettura della Camera con 317 «sì», 234 «no» e 5 astenuti (tra cui Marco Follini e Bruno Tabacci in dissenso con lUdc). Il Carroccio saluta il via libera di Montecitorio tirando fuori due enormi striscioni con su scritto «Grazie Bossi», voluti dal capogruppo Andrea Gibelli e preparati nella notte a Piacenza (sono arrivati con un plico della Tnt solo poco prima di mezzogiorno). I deputati di An sventolano fazzoletti tricolore (ne ha uno nel taschino pure il ministro degli Esteri Gianfranco Fini), tutti tranne Niccolò Cristaldi che preferisce un bandierone giallo e rosso con il simbolo della Sicilia, la Trinacria. Pure buona parte dellUdc è in piedi e, seppure timidamente, applaude.
Silvio Berlusconi, seduto tra i banchi del governo con ai suoi fianchi i ministri della Lega Roberto Calderoli e Roberto Maroni è soddisfatto. «Vado a chiamare Umberto Bossi per dirgli che la maggioranza ha mantenuto gli impegni perché siamo persone per bene», dice il premier lasciando lAula e dirigendosi verso le stanze della presidenza per un pranzo con Casini, Fini e il sottosegretario Gianni Letta. Una telefonata breve, nella quale il Senatùr si complimenta con Berlusconi per «lottimo risultato. Era emozionato e felice», racconta il premier.
Intanto, prima al ministero delle Riforme e poi negli uffici del gruppo parlamentare del Carroccio si festeggia. Con «pasticcino rigorosamente romano» e «spumante di sopra Po» (prima Ferrari, poi Franciacorta), racconta il deputato leghista Luigino Vascon. E si brinda in bicchieroni di plastica rigorosamente verdi, «grandi come tini», dice ai suoi ridendo Calderoli. Festeggia pure Bossi, che ha seguito i lavori della Camera con un pizzico di apprensione prima da casa e poi dal suo ufficio in via Bellerio. Durante il voto ha telefonato a ripetizione a Calderoli, Maroni e Giorgetti, chiedendogli lumi su eventuali defaillances dellultima ora. E i suoi sempre a tranquillizzarlo, nonostante lagitazione del ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi, convinto nei minuti che hanno preceduto il voto che qualche rischio ci fosse davvero. «Oggi - dice il Senatùr durante una delle tante telefonate - avrei voluto essere lì, ma per il voto del Senato sarà unaltra storia. Non mancherò». E già, perché sulleventualità di presentarsi a Montecitorio Bossi un pensierino ce laveva fatto. Ne aveva pure parlato con il ministro dellEconomia Giulio Tremonti e il sottosegretario alle Riforme Aldo Brancher si era detto disponibile ad ospitarlo nella sua casa di Roma. Un invito rimandato, ma solo di qualche settimana. Ma anche se a Milano il Senatùr fa sentire la sua voce, perché «questo è un Paese che finalmente diventa federalista». In unintervista sulla Padania in edicola oggi ringrazia «personalmente Berlusconi e Fini che con la loro presenza hanno evidenziato limportanza del voto». «Sono molto contento, vuol dire che gli abbiamo convinti, che sono diventati un po federalisti», dice Bossi riallacciandosi allintervento in Aula di Gibelli. Che rivolgendosi agli alleati aveva definito il voto linizio di un processo che potrà essere «il punto di contatto tra noi e voi» in vista delle elezioni del 2006 (parole che, non a caso, gli sono valse un biglietto di congratulazioni da Berlusconi). «Cè voluta una grande pazienza - spiega ancora il Senatùr - e tanta fiducia. Fiducia che alla fine le idee buone avrebbero convinto. Così è stato mi pare. Grazie alla Casa delle libertà».
Soddisfatti tutti, pure senatori e sottosegretari non parlamentari (come Roberto Cota) arrivati alla Camera per loccasione. Secondo il ministro della Giustizia Roberto Castelli «quando la maggioranza è unita fa il bene del Paese». Mentre per Maroni «è un voto che dà lo slancio per le prossime elezioni». Soddisfatto anche «lamico» Tremonti perché «la riforma rimedia a un sistema caotico». E esulta pure leurodeputato Mario Borghezio per «la lezione di democrazia che la Padania ha dato allItalia».
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