Così la proteina di un'alga aiuta a recuperare la vista

Le proteine di un'alga possono permettere di far recuperare la vista a chi l'ha persa da anni a causa della retinite pigmentosa: fondamentale, però, anche l'uso di occhiali speciali

Così la proteina di un'alga aiuta a recuperare la vista

Enormi passi in avanti per ridare la vista a chi non ce l'ha più: grazie alla proteina di un'alga sensibile alla luce e all'aiuto di occhiali speciali è possibile far tornare a vedere chi è diventato cieco anche oltre 20 anni.

Chi è lo scienziato

L'idea è di José-Alain Sahel, professore del dipartimento di oftalmologia alla University of Pittsburgh School of Medicine, direttore dell'UPMC Eye Center e fondatore del Vision Institute della Sorbona. «Lavoro da anni al ripristino della visione nei pazienti ciechi, e inizialmente ho lavorato con la retina artificiale, che è una protesi elettrica», commenta lo scienziato francese. In Italia, l'occhio bionico (Argus- II) brevettato da Alain-Sahel è stato impiantato dal Prof. Stanislao Rizzo in molti pazienti. Da qui si è lavorato per lo sviluppo di diverse protesi retiniche fino ad arrivare all'idea della proteina contenuta nell'alga.

Come funziona la proteina

Già negli anni '90, in Germania, alcuni scienziati hanno scoperto che elementari alghe utilizzano una proteina particolare per rilevare la luce e interagire con essa avvicinandosi o allontanandosi dalla fonte luminosa. «Queste proteine hanno due funzioni: prima catturano la luce, e poi attivano un cambiamento nel potenziale della membrana, ovvero generano una risposta elettrica nelle cellule», afferma in un'intervista a Repubblica. Nell'essere umano, la retina cattura la luce e risponde con un segnale: in questo modo, insieme al Dott. Roska, lo scienziato ha pensato che questo meccanismo potesse essere utile per attivare una retina cieca causata da una malattia genetica, la retinite pigmentosa.

Retina e occhiali: così riparte la vista

A questo punto, con la terapia genica viene immesso il codice genetico nell'occhio del paziente per istruire le cellule umane su come devono fabbricare la proteina all'interno di un virus modificato che non è nocivo per l'uomo. Con un'iniezione, il virus entra nelle cellule della retina e dopo qualche settimana le cellule iniziano a produrre la proteina fotosensibile. In questo meccanismo, fondamentale l'uso di un paio di occhiali ad hoc costruiti per ricevere il segnale inviato dalla retina.

«Gli occhiali hanno una camera nel mezzo che cattura la luce. Ogni pixel rileva una variazione nella luce e la converte in un segnale. Il segnale è mandato a un proiettore che è davanti agli occhi e li inonda con una luce che è nella giusta lunghezza d'onda per stimolare la proteina. Che così si attiva e fa sì che i segnali raccolti dalla retina vengano trasmessi al cervello. In modo che il paziente possa tornare a vedere», spiega lo scienziato. A quel punto, il paziente deve "allenarsi" a riconosce le immagini, in molti casi nuove dopo un periodo di cecità anche superiore a 20 anni.

Cosa si riesce a vedere

Oggetti chiari e scuri, strisce pedonali: dopo circa 10 mesi i pazienti sottoposti a questa terapia riescono a distinguere queste tipologie di cose. «Trovano entusiasmante sapere che i loro occhi sono ancora vivi e capaci di funzionare, anche se la visione non è perfetta», sottolinea l'oftalmologo francese. Il passo successivo, adesso, sarà ridare la nitidezza per cogliere le espressioni nei volti delle persone amate. «Questa è la cosa più importante anche per noi ed è l'obiettivo su cui continuiamo a lavorare».

La questione fondamentale è che si può continuare ad affinare la tecnica grazie agli occhiali speciali, arrivati ormai alla terza generazione, che consentono di migliorare la vista ai pazienti già trattati con la proteina. I pazienti che si possono sottoporre a questo trattamento sono soprattutto coloro affetti dalla retinite pigmentosa. «Potenzialmente la nostra soluzione potrebbe applicarsi a tutti i pazienti che hanno un nervo ottico funzionante, vale a dire pazienti che hanno una connessione ancora funzionante tra l'occhio e il cervello. Il nostro approccio si potrebbe applicare anche ad altre malattie degli occhi, in futuro, purché la connessione tra l'occhio e il cervello non sia compromessa», afferma lo scienziato.

Situazione diversa, purtroppo, per chi ha avuto un incidente e il cui nervo ottivo è stato reciso o nel caso di un glaucoma in uno stadio molto avanzato: in quei casi, il nuovo sistema non darebbe i

risultati sperati. La ricerca, però, sta mettendo a punto approcci diretti per stimolare il cervello con delle protesi o con l'optogenetica: sono queste le nuove frontiere per ridare la vista a chi l'ha persa.

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