Rupofobia, quando lavare le mani diventa un'ossessione

Come nel caso di altre fobie, la causa non è sempre facilmente individuabile. Esistono tuttavia fattori di rischio sia ambientali che caratteriali

Rupofobia, quando lavare le mani diventa un'ossessione

Deriva dal greco 'rùpos' che significa 'sudiciume' e 'phóbos', ovvero paura. Con il termine rupofobia si indica la paura patologica e irrazionale nei confronti dello sporco e, più in generale, di tutto ciò che rappresenta una potenziale fonte di contaminazione o non è igienico. Nonostante il quadro fobico vari da persona a persona, l'ossessione si traduce in una continua pulizia di sé stessi e degli ambienti in cui si vive. Talvolta il disturbo prende il nome di misofobia (dal greco 'mysos', sporco), di germofobia (letteralmente fobia dei germi) e di sindrome di Pilato, in riferimento alla mania di lavarsi frequentemente le mani. Se l'impulso all'igienizzazione non viene appagato, il soggetto può accusare una sensazione di insoddisfazione generale che, spesso, evolve in un disturbo di ansia, con conseguenze negative per la vita sociale e lavorativa.

Al pari di altre manie, le cause della rupofobia non sono sempre facilmente individuabili. Esistono, tuttavia dei fattori di rischio (ambientali e caratteriali) che ne favoriscono la comparsa. In molti casi sono dei conflitti inconsci di tipo morale a scatenare la paura di essere contaminati e di contagiare. Basti pensare, ad esempio, a episodi drammatici dell'esistenza, a eventi talmente negativi da essere impossibili da razionalizzare, ad aspettative troppo elevate dei genitori o di altre figure cardine nel percorso di crescita. Queste esperienze minano profondamente l'autostima di chi ne è colpito. L'insicurezza, dunque, aumenta e l'individuo si sente insoddisfatto e inadeguato in uno o più aspetti focali della sua vita.

La manifestazione tipica della rupofobia è senza dubbio il disagio e il senso di repulsione nei confronti dello stimolo fobico, ovvero l'idea o la reale esposizione allo sporco. Il soggetto vive in uno stato di perenne allerta che, alle volte, può sfociare in crisi di ansia o in veri e propri attacchi di panico. I pazienti rupofobici non sono tutti uguali e la mania stessa può assumere infinite sfumature differenti. Nelle forme lievi il soggetto è molto attento all'igiene e all'ordine. Se queste costanti vengono a mancare, si avverte un senso di disagio generalizzato. Le forme gravi, invece, sono accompagnate da comportamenti rituali e ossessivi: lavare continuamente le mani, indossare guanti, mascherine e altri dispositivi, disinfettare ogni oggetto.

La rupofobia confina chi ne è affetto in una dimensione angosciosa che, a lungo andare, porta ad un comportamento definito di 'lotta e fuga'. Il corpo risponde alla minaccia mettendo in atto una serie di meccanismi di difesa. Essi corrispondono a sintomi fisici ben precisi: nausea, vomito, mal di testa, tremori, brividi, sudore freddo, vampate di calore, formicolio, prurito. Ancora senso di pressione o dolore al petto, secchezza delle fauci, diarrea, vertigini, tensione muscolare, confusione mentale. Questa fobia incide pesantemente sulla vita del malato e, spesso, evolve in schizofrenia o depressione. Inoltre l'uso continuo e prolungato di detergenti per la pulizia della casa può dar luogo a dermatiti irritative.

Il trattamento della rupofobia prevede un percorso mirato alla gestione dei sintomi e delle varie manifestazioni. La scelta della cura più appropriata dipende dalla gravità del quadro clinico. Una delle strategie maggiormente efficaci per superare il disturbo è la terapia cognitivo-comportamentale che permette al paziente di razionalizzare la paura e di modificare il circolo vizioso in cui la sua mente è rimasta intrappolata. Per controllare i segni clinici dell'ansia lo psichiatra può prescrivere per brevi periodi una terapia farmacologica.

Essa si basa sull'assunzione di una serie di medicinali: benzodiazepine, inibitori delle monoamino ossidasi (MAOI), inibitori selettivi della ricaptazione della serotonica (SSRI), beta bloccanti e antidepressivi triciclici.

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