Certo, certissimo anzi probabile, commenterebbe l'indimenticabile Ennio Flaiano sull'ultimo ennesimo giallo che circonda la figura di Gian Giacomo «Jacomo» Caprotti, allievo prediletto di Leonardo che lo aveva bonariamente ribattezzato il «Salai» (il diavolo) per la sua indisciplina e per le sue intemperanze, furtarelli compresi ai danni del Maestro. Gli ultimissimi studi sul San Giovanni Battista, dipinto a lui attribuito e conservato dalla Pinacoteca Ambrosiana, sembrerebbero mettere definitivamente in dubbio la medesima attribuzione relegandola (quasi) definitivamente a «generico pittore leonardesco del primo quarto del Cinquecento». Le suddette ricerche - presentate ieri dalla Veneranda Biblioteca e da Banca Patrimoni Sella & C. specializzata in gestione ed amministrazione dei patrimoni - hanno infatti portato nuove evidenze frutto di modernissime tecniche diagnostiche non invasive sul dipinto, escludendo che possa trattarsi della stessa mano dell'olio su tavola Testa di Cristo Redentore, finora l'unica inequivocabilmente «a firma» del Salai, opera anch'essa compresa nella collezione dell'Ambrosiana. Il ritratto del «San Giovanni Battista», opera chiaramente ispirata al San Giovanni Battista di Leonardo conservato al Louvre, è stato appunto comparato al Cristo Redentore attraverso sofisticate analisi come la fluorescenza ultravioletta, l'analisi del pigmento tramite fluorescenza a raggi X e infrarosso in falso colore, la macrofotografia e microscopio digitale, la riflettografia infrarossa multispettrale e la radiografia digitale. Dagli esami, eseguiti 40 anni dopo le ultime ricerche da un'equipe di storici dell'arte, esperti di diagnostica, conservatori e restauratori come Edoardo Villata e Thierry Radelet, emergerebbero differenze sostanziali tra le due opere sia per quanto riguarda lo stile sia per quanto riguarda i pigmenti utilizzati. In particolare, nel cielo che fa da sfondo al San Giovanni, risulta l'uso di lapislazzuli, «materiale pregiato e costoso - sottolineano i vertici dell'Ambrosiana - solitamente riservato a opere commissionate da mecenati di alto livello».
Il condizionale è sempre d'obbligo trattandosi della bottega leonardesca e soprattutto di un personaggio abile quanto ambiguo come il Salai, unico tra gli allievi del Genio a rimanervi legato praticamente tutta la vita e ad averne ricevuto in premio una cospicua eredità. Sull'autenticità della sua produzione pittorica ma lo storico dell'arte Romano Nanni lo definì più uno «strenuo copista piuttosto che autore originale» le diatribe non sono mai mancate: anche perché, come già lo stesso Vasari non mancò di sottolineare, «certi lavori, che in Milano si dicono essere di Salai, furono ritocchi da Lionardo». Emblematico è il caso della sua chiacchieratissima «Gioconda nuda», ambigua per i tratti androgini (così come femmineo è il ritratto del San Giovanni), per la quale l'intervento di Leonardo è praticamente certo.
Le ricerche appena presentate e pubblicate in un volume unico nel suo genere, completo delle nuove immagini oggetto di studio, gettano nuove ombre sulla storia del dipinto ma di certo non ne sminuiscono il valore, come ha sottolineato il prefetto dell'Ambrosiana monsignor Ravoni nei suoi ringraziamenti al mecenatismo di Banca Patrimoni Sella, ricordando che «davanti a un'opera d'arte, in realtà, non c'è mai una vera e propria conclusione».
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