Saviano: fuoco sul Giornale

L'autore di Gomorra usa la tv come un plotone di esecuzione. Ma la vera macchina del fango è quella andata in onda su Raitre. L'omertà di Vieni via con me: coperto chi ostacolò Falcone. I veri vincitori: il Cavaliere ed Endemol. Il genio di Benigni? Ha copiato le battute da un sito. BLOG Dì la tua

Saviano: fuoco sul Giornale

Giù la maschera: allora è questo Saviano. È un predicatore che va sulla tv di Stato a condannare, infangare, insultare, mettere all’indice i giornalisti di un quotidiano. Lo fa utilizzando la televisione come un plotone di esecuzione e chiede la morte morale di chi gli sta antipatico. Così, senza contraddittorio, senza permettere agli altri di difendersi, senza appello. Lo scrittore di Casal del Principe regola così i suoi conti e quelli dei mandanti di questa esecuzione pubblica. È il burattino con il sorriso bonario di uno spettacolo scritto, diretto e montato da altri: Loris Mazzetti, il dirigente Rai con mansioni di commissario politico (inquadrato mentre applaudiva soddisfatto l’ennesima battuta contro il suo direttore generale), i furbissimi autori del furbetto Fazio, la cricca di Repubblica. Saviano di suo ci mette appunto la maschera, il personaggio, la santità, l’arroganza di uno che sfoga la sua rabbia con una mitragliata di fango. Questo ormai è Roberto Saviano.

Si apre la scena e lui indica al popolo chi sono i miserabili, i maledetti, i cattivi, i bastardi. Questa volta però non se la prende con i camorristi, con i Sandokan, con i malavitosi. No, stavolta mette al muro un giornale e un centinaio di giornalisti colpevoli solo di non essere allineati con lui. Immaginate se fosse successo con altre vittime. Immaginate un signore che va in prima serata su mamma Rai a declamare che i giornalisti di Repubblica e dell’Unità sono tutti servi, sono dei killer, sono come i mafiosi (perché questo è il messaggio che Saviano e i suoi complici vogliono far passare).

Quelli del Giornale sono come gli untori che hanno lasciato solo davanti alla morte Falcone (e non importa che a tradire il giudice furono magistrati democratici e soloni della sinistra) Immaginate cosa sarebbe successo se a subire questa infamia pubblica fossero stati altri, quelli con il pedigree giusto. L’Onu e Amnesty avrebbero gridato in tutte le lingue contro l’attentato alla libertà di stampa, contro i giornalisti lapidati e messi al muro. Ma siccome i giornalisti sono quelli del Giornale allora non è reato. E Garimberti, presidente della Rai, dichiara anche: «Grande esercizio di libertà».

Bisogna ammetterlo, siamo davvero masochisti: paghiamo il canone per essere diffamati. Paghiamo la prima serata a Fazio e Saviano perché gettino fango su di noi. Noi paghiamo il canone e Benigni piange tutto il tempo che sta lì gratis. Questa è l’Italia dei monaci dell’antiberlusconismo, con la lista degli uomini da odiare diffusa in diretta tv davanti a sette milioni di telespettatori. Se c’è qualcuno che usa la macchina del fango sono proprio questi «probiviri». Sparate al giornalista del Giornale. Firmato Fazio e Saviano.
Non vi inventate che ora questa è libera informazione. Il monologo di Saviano serve solo a sputtanare degli individui. Non ci credete? Basta leggere quello che scrive su Repubblica Francesco Merlo, uno che considera Saviano un’autorità. «Nessuno in tv aveva mai detto, così compostamente, che in Italia ci sono giornali che, per servire meglio il potere, vivono di veline avvelenate, sempre lesti ad attingere in quella cultura del sospetto che è nel sangue del Paese. Il giornalismo come l’olio di ricino...».

Vedete? Merlo come Saviano ci ha già condannato. Noi siamo l’olio di ricino, loro giornalismo libero. Noi siamo la feccia, Repubblica che da tre lustri usa il retrobottega delle procure e il sospetto come anticamera della verità è la bibbia.

L’importante è affermarlo urbi et orbi, con aria solenne e il vestito della santità, davanti a milioni di persone. Ai giornalisti di questo giornale, infamati e insultati, è negato ogni elementare diritto di difesa. Possono solo confessare, pentirsi e pagare il canone.

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