La Scala dopo la Prima. Applausi, incasso, share (grazie alla "putiniana")

La Netrebko se ne infischia di due fischi... E l'anno prossimo va in scena un'opera russa

La Scala dopo la Prima. Applausi, incasso, share (grazie alla "putiniana")
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La Forza del destino, l'opera che sabato ha aperto la stagione della Scala, raccoglie dodici minuti di applausi ai solisti, al direttore d'orchestra Riccardo Chailly, al regista Leo Muscato e alla sua squadra. Non manca qualche dissenso, che la tradizione vuole sia indirizzato al regista e invece piove sul soprano Anna Netrebko. «L'opera non si prende in ostaggio», sbotta il sovrintendente Dominique Meyer, che si accalora quando vede «buata» la punta assoluta del cast di questo e altri 7 dicembre. Perché si dissente? Perché è russa, perché fu nelle grazie di Putin e pazienza se ha preso le distanze dalle scelte fatte da altri, se ha lasciato la Russia e soprattutto se di «soprani come lei ve n'è una per generazione» (ancora Meyer). La Prima è fatta così, viene piegata ad uso e consumo del trend del momento, vedasi il siparietto pacifista del mattino, quel tappeto rosso steso davanti al teatro e imbrattato di letame con i visi di leader politici, vedasi i cortei dei ProPal, anti-ddl e anti-guerra e cause varie.

Netrebko che dice? Calato il sipario, si chiude in camerino. E non perché si disperi per l'accaduto, si sta rifacendo trucco e parrucco per la cene del dopo-prima. Tutto qui. Prima della cena, spegne i fuochi dicendo di non aver sentito niente, alla fine, addolcita dal dessert, commenta che «la serata inaugurale è quella in cui tutti siamo molto nervosi, ma penso sia andata molto bene, anche la reazione del pubblico». Chiusa la faccenda. È donna di mondo e dai nervi d'acciaio, di grandi successi e altrettanta esposizione coltivata ad arte, da diva che ama fare la diva, e che a quattro giorni dal grande evento, la Prima appunto, se ne va in Transilvania per una gita con la nuova fiamma alla miniera di sale di Turda.

Per il 7 dicembre dell'anno prossismo i cultori delle gerarchie di nazionalità avranno un bel da fare considerato che la scelta è caduta sull'opera russa Lady Macbeth del Distretto di Mcensk di Dmitri Shostakovich, pare con Asmik Grigorian nel ruolo del titolo. Costei è lituana, il che deporrebbe a suo favore.

Alla cena delle cene, per cinquecento persone e come sempre alla Società del Giardino, ma senza lo scenografico tavolo imperiale, Netrebko siede al fianco del sovrintendente. Meyer è alla sua ultima Prima, a marzo trasloca nella Svizzera ricca e neutrale, lavorando per l'Orchestre de Chambre di Losanna archivierà le turbolenze di una Scala che non dorme mai, negando anche il sonno altrui. Passa le consegne a Fortunato Ortombina, in arrivo da una Fenice di Venezia ben gestita, verdiano duro e puro rompe i vent'anni di conduzione scaligera franco-austriaca (Lissner-Pereira-Meyer). Al tavolo degli artisti c'è Leo Muscato. Ha un sorriso smagliante, è felice come una Pasqua, «stando sul palcoscenico non si sentono tanto buu o fischi, sei in una bolla. In scena c'erano almeno trenta persone che manovravano senza essere viste dal pubblico. I cantanti si sono dati in modo incondizionato, anche la massa artistica: 105 persone che hanno costruito individualità diverse». Bravi tutti, Tézier nel ruolo di Carlo si impone anche solo per la grande personalità. Però Netrebko è fuori scala, ha una presenza scenica istintiva. «Lei gioca in un altro campionato. A ogni mia idea ha sempre rilanciato. I grandi artisti si vedono da questo: non eseguono, ma rilanciano» (Muscato). A tal proposito, la mente va a Placido Domingo e a José Carreras, ciò che rimane dei Tre Tenori, sono stati gli spettatori speciali di questa Forza, accanto a loro anche Raina Kabaivanska. Domingo, passato - e mai stritolato - sotto le Forche caudine di #metoo e corollari, da gran signore prima che inizi lo spettacolo va nei camerini dei colleghi per dar coraggio, sarà poi prodigo di «Bravi, bravi tutti». Carreras invece dice che «ovviamente non posso dire quel che penso». Kabaivanska apprezza le voci d'oggi ma «non mi emozionano». Così sono gli artisti: tanto coraggio, altrimenti non metti piede sul palcoscenico, tanto amor proprio, perché non stai su un palco se ti disprezzi, il tutto condito da un pizzico di sana vanità.

Il valore degli artisti sta in quel che fanno sul palcoscenico, con buona pace dei giudici dell'umanità.

E così si chiude questa Prima della Scala che totalizza incassi oltre i due milioni e mezzo di euro, vista da 1800 persone in sala e un milione 600mila via tv grazie alla diretta Rai, 10,2% di share. Un successo.

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