La Scala maltratta Cajkovskij

Il direttore Timur Zangiev ha trasformato lo scrigno melodico e drammatico in una deludente sequela di situazioni incolori, senza uno straccio di rapporto una con l'altra, supportato da un'orchestra ai minimi della forma

La Scala maltratta Cajkovskij
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Il sipario della Scala si apre: la campagna russa di Pukin e Cajkovskij sembra quella rusticana di Verga e Mascagni. Un cubo centrale pieno di libri indica che la ragazza di casa legge molto. Nascono amori. La messa in scena di Mario Martone di Evgenij Onegin, il super capolavoro di Cajkovskij, lasciate le spighe, abolisce gli spazi borghesi (il grande ballo avviene in uno squallido checkpoint dove si bruciano libri, si balla alla bell'e meglio, ci si spara). Le superbe danze diventano un corpo estraneo, celate dietro un velario rosso, invece che essenza stessa della società aristocratica che Pukin descrive e, lui sì, critica. Se almeno dal podio fossero venute ventate ispiratrici... Il direttore Timur Zangiev ha trasformato lo scrigno melodico e drammatico in una deludente sequela di situazioni incolori, senza uno straccio di rapporto una con l'altra, supportato da un'orchestra ai minimi della forma. A parte il rilievo eccellente dato dal tenore Dmitri Korchak alla parte del disperato poeta Lenskij e l'efficienza del baritono Alexey Markov (Onegin), è mancata l'eroina Tat'jana.

Poco ha potuto una pallente Aida Garifullina, pur circondata dalle oneste professioniste Alisa Kolosova (Larina) e Julia Gertseva (Filipp'evna), nel dare spessore a un ruolo che con i centri solidi in genere fa crollare il teatro di applausi. Quelli che abbiamo sentito alla seconda recita erano educati rituali di un pubblico che avrebbe voluto galvanizzarsi, se gliene avessero dato possibilità.

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