Sergio Marchionne lascia Confindustria poiché il sindacato degli industriali è come la Ritmo diesel, è roba vecchia. Almeno per Fiat. In un momento in cui non si fa a botte per comprare le macchine made in Italy, non si possono fare prigionieri. Marchionne è un manager che va per le spicce. Ha ottenuto con una certa difficoltà un contratto per i suoi dipendenti più innovativo, più tosto soprattutto nelle regole, di quello scritto dalla Confindustria. Insomma il contratto collettivo se l’è fatto da sé,con l’assenso della parte maggioritaria dei sindacati e dei suoi lavoratori. A questo punto o la Confindustria si adeguava o la Fiat prendeva la sua strada. Cosa che ieri scrivendo una lettera secca alla signora Marcegaglia, ha fatto: fuori le fabbriche dall’associazione.
Cosa insegna questa storia?
1. L’adesione alla Confindustria nasce essenzialmente dalla condivisione di un contratto. A Roma si contratta ciò che verrà applicato nelle fabbriche. La Fiat ha oggi rotto questo monopolio. E non è uno scandalo.D’altronde se ci può essere un pluralismo sindacale per i lavoratori, non si vede perché non possa esistere per le imprese. Se la Fiat riesce ad ottenere autonomamente dai sindacati un contratto più congeniale, è ovvio che lo sottoscriva. Sarà difficile pensare che nei prossimi mesi altre imprese metalmeccaniche ( ad esempio i fornitori del Lingotto) accettino di applicare un contratto diverso da quello Fiat e per loro più oneroso. Questo è il vero colpo di scena. Si è aperta una breccia e la miopia degli attuali vertici confindustriali non l’ha chiusa per tempo. Hanno preferito un accordo con la Cgil piuttosto che uno con la Fiat. Hanno preferito la Camusso a Marchionne. Affari loro.
2. I sindacati sono riusciti a mantenere un ruolopesante nella politica italiana grazie alla mutazione di pelle che hanno fatto negli ultimi venti anni. Hanno cambiato base sociale, riempiendo le proprie liste di pensionati, che sono portatori di interessi specifici e molto forti. La Cgil è stata travolta dalle rivendicazioni della sua parte più ideologizzata: i metalmeccanici della Fiom. E ha mantenuto per questa via una sua identità. Indipendentemente da ogni giudizio di valore, si sono evoluti. La Confindustria è rimasta praticamente ferma, se non per l’aumento di influenza della componente di imprese pubbliche (che in realtà restano un’altra faccia del governo).
Per farla breve il sistema Confindustria ha perso centralità, ritenendo di poter campare di rendita. Al contrario i suoi vertici ne hanno guadagnata. Ma per se stessi e non per le imprese che rappresentano. Guidare il Palazzone dell’Eur è diventato un obiettivo di scalata sociale e non già un servizio per il sistema di cui si fa parte. Se così non fosse l’establishment confindustriale oggi si impegnerebbe a mantenere la compattezza della sua base sindacale, piuttosto che scrivere un brogliaccio di politica economica da paese dei sogni. L’obiettivo dei vertici di Confindustria non è più sindacale, è politico.
3. Complice una classe politica alla ricerca di continue mediazioni si è insistito in una concertazione continua, con la presunzione di tenere tutti dentro. La morale è che si è trattato con Confindustria e sindacati, con la folle illusione di parlare per questa via al Paese produttivo. Si è trattato con i dinosauri di una rappresentanza che non esiste più. La signora Marcegaglia dice che sono aumentati i propri associati, ma non dice che la gran parte delle new entry deriva proprio dal fallimento politico di sburocratizzare la nostra società: si pensi alle procedure della Cassa integrazione (che ha avuto un boom in questi anni di crisi) e alla comodità di essere iscritti a una territoriale di Confindustria per accedervi.
Marchionne ha avuto il grande merito di svelare il bluff. Questi signori all’Eur si prendono molto sul serio. Alle loro assemblee, fino a pochi mesi fa, si compiacevano di quelle prime file zeppe di politici (oggi ridicolmente fanno finta di non volerli più).
Per troppo tempo hanno pensato più agli affari romani che alle loro fabbriche. E Marchionne sbattendogli in faccia la porta ha ricordato un detto di un loro vecchio grande presidente: «Ofelè fa el to mestèe» amava ripetere il cavalier Lucchini.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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