Sconfiggere l'alieno spietato che è in noi e nella Storia: un'impresa davvero colossale

Il ruolo dell'attrice come Ellen Ripley ha aperto una nuova epoca del cinema

Sconfiggere l'alieno spietato che è in noi e nella Storia: un'impresa davvero colossale
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Il «miracoloso decennio» del cinema hollywoodiano nel 1979 stava chiudendo i battenti. La depressione degli anni Sessanta era ormai un lontano ricordo. Si parlava, a ragione, di «nuova Hollywood». Per avere l'esatta percezione del cambiamento, basta scorrere l'elenco di chi, negli anni Settanta, vinse l'Oscar per il miglior film. Il braccio violento della legge (1971) di William Friedkin, Il padrino I (1972) e Il padrino II (1974) di Francis Ford Coppola, Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975) di Milo Forman, Rocky (1976) di John Avildsen, Io e Annie (1977) di Woody Allen, Il cacciatore (1978) di Michael Cimino. C'è poco da aggiungere. Opere e autori ancora oggi di riferimento. A questo pantheon di classici/moderni/postmoderni (si potrebbero aggiungere i nomi di altri registi che non hanno vinto nulla, successivamente diventati grandissimi: Martin Scorsese, George Lucas e Steven Spielberg) manca una trave di sostegno imprescindibile, essenziale per stabilità e bellezza del nuovo edificio hollywoodiano: la fantascienza. La saga delle «guerre stellari» era già iniziata nel 1977 con Lucas. Idea strepitosa pur se popolare. Alla fantascienza che avrebbe dominato l'immaginario americano e universale del decennio successivo gli anni Ottanta, l'età dell'attore/presidente Ronald Reagan che, per spaventare e far cadere l'«impero del male», minacciò di ricorrere appunto alle «guerre stellari» mancava un'opera nuova. Arrivò con Alien nel 1979. Ci pensarono un promettente regista inglese, Ridley Scott, e una non meno promettente attrice newyorkese, Sigourney Weaver. Alien non è stato solo un film diventato una serie, ma un fenomeno globale capace di agganciare in maniera viscerale, nel corso di quasi mezzo secolo, più generazioni. Buona parte del merito, per ovvie ragioni, spetta a Ridley Scott. Il regista ha un'idea vincente: affidarsi ad una donna come protagonista. Non una donna qualunque, ma una combattente catapultata nell'ultra spazio. E qui entra in scena Sigourney Weaver. È alle prime armi nel mondo della celluloide. Ha trent'anni. Un fisico statuario. Una cultura sofisticata. Un talento per la recitazione, seppur grezzo, supportato da eccellenti studi sulla drammaturgia, compiuti alla università di Yale. Sigourney Weaver è la sorella degli «eroi muscolari», diventati né più né meno di lei icone della cultura popolare nell'epoca della globalizzazione.

Nel film di Ridley Scott l'attrice è il tenente Ellen Ripley, in missione nello spazio. Siamo nell'anno 2122. Deve lottare, sino allo stremo, con un'insidiosa specie di predatori, ferocissimi e intelligentissimi, difficili da affrontare, poiché si riproducono nascondendosi nei corpi di esseri viventi. Un combattimento senza esclusione di colpi. Rimasta sola nell'astronave a battersi con il mostro, ha una sola possibilità. Ucciderlo. Forza, coraggio, determinazione, astuzia. Alla fine, Ripley, come John Wayne, riesce a sconfiggere il nemico. Sigourney Weaver per altre tre volte ha vestito i panni di Ellen Ripley: in Aliens. Scontro finale (1986) di James Cameron, Alien 3 (1992) di David Fincher e Alien. La clonazione (1997) di Jean-Pierre Jeunet. Un così impegnativo e riuscito ruolo ha di fatto oscurato il resto della carriera dell'attrice. Eppure ha lavorato, solo per rimanere ai nomi più famosi, con William Friedkin, Peter Weir, Ivan Reitman, Roman Polansky, Ang Lee, James Cameron, Walter Hill, Paul Schrader. Il 1988 è il suo anno di grazia. È chiamata a ricoprire due ruoli diversissimi, nei quali si districa alla perfezione: la scienziata animalista in Gorilla nella nebbia di Michael Apted, e l'insopportabile manager in Una donna in carriera di Mike Nichols. Se c'è un neo sin troppo evidente nella lunga e brillante carriera di Sigourney Weaver è la scarsità di premi ricevuti. Non un Oscar, nonostante lo abbia sfiorato più volte. Un solo Golden Globe. Davvero poco. Attrici non paragonabili al suo talento hanno raccolto molto di più. Ma è un dettaglio. Spesso la vincita di una statuetta per un singolo film si riassume nel finire in un elenco, pur se prestigioso.

Diventare Ellen Ripley ha fatto finire di diritto l'attrice, settantaquattrenne in piena forma, nella storia del cinema e nell'immaginario collettivo. Pertanto, il Leone d'oro alla carriera, assegnatole dalla Mostra del cinema di Venezia, è un significativo riconoscimento, totalmente meritato. Lunga vita, dunque, a Ellen Ripley/Sigourney Weaver.

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