Per il presidente onorario del Comitato bioetico Francesco DAgostino, il caso Welby non ha ragione dessere. Ha autorevolmente chiarito come a Piergiorgio Welby, così come ad ogni altro ammalato, spetti il diritto costituzionalmente riconosciuto di rifiutare una (cura allorquando la si ritenga non più idonea e, per questo, inefficace ad alleviare il dolore di vivere. Un attimo dopo quel rifiuto, sarebbe poi un dovere di ogni medico, e in particolare del proprio medico curante, praticare la sedazione necessaria ad alleviare le sofferenze, qualora queste dovessero intervenire. Giuseppe Casale, uno dei medici di Piergiorgio Welby, ha dal suo canto raccontato come egli abbia offerto al suo paziente una terapia palliativa idonea ad annullare il dolore, senza che ciò comportasse unartificiale accelerazione del momento della dipartita: soluzione che il suo paziente ha legittimamente rifiutato.
Da differenti punti di vista - quello dellesperto e quello del medico - i due interventi aiutano, dunque, a chiarire alcuni aspetti di questa intricata vicenda. Essi, dal punto di vista scientifico, attestano che la sedazione può essere intesa come un procedimento medicale utile a combattere la sofferenza, senza per questo veicolare forme mascherate deutanasia. Evidenziano quindi, da un punto di vista più generale, come non vi sia - e non vi sia mai stato - un fronte umanitario contrapposto a quanti, invece, per difendere astrattamente il principio della vita, si siano disinteressati alla sofferenza vera ed effettiva. DAgostino e Casale, assieme a tanti altri, non ritengono però che lumana solidarietà che si deve a Piergiorgio Welby vada tradotta in un acritico accreditamento della confusione in atto tra accanimento terapeutico ed eutanasia e, per questo, si oppongono a quanti, a volte in perfetta buona fede, stanno di fatto utilizzando il primo come cavallo di Troia per introdurre surrettiziamente la seconda.
Essi non si nascondono come persino il più integrale rispetto per la vita non possa e non debba condurre nessuno a chiudere gli occhi di fronte allinsopportabilità del dolore. Per questo, ricercano e indicano soluzioni nello spazio delimitato dallinderogabilità di tre principi: lunicità della persona umana che implica limpossibilità dassimilare situazioni e realtà che, per forza di cose, sono sempre differenti; la difesa dellautonomia del rapporto tra medico e paziente; lesistenza di una sfera di libera determinazione del malato. Attraverso tale ricerca nessuno intende promuovere compromessi su materie che non ne ammettono come, sbagliando, ritiene il senatore Ignazio Marino. Si tratta, piuttosto, daffermare la consapevolezza che allinterno di questi confini esistano già gli strumenti giuridici e le risorse mediche per trovare delle soluzioni ai tanti Welby del mondo, senza che la politica simpicci.
Il rispetto più autentico della libertà della persona impone infatti discrezione, umiltà e prudenza. E, quando sono in gioco questioni quali la vita e la morte, è bene che il Parlamento e ancor più la magistratura - per il possibile e per quanto possibile -, si astengano dallintervenire.
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