Più su, sempre più su e infine: secondo. L’altra sera Raphael Gualazzi era un bel po’ distaccato, diciamo penultimo in quell’Olimpiade del pop che si chiamava semplicemente Eurofestival e adesso è l’Eurovision Song Contest, una quisquilia tv da almeno ottanta milioni di telespettatori e quarantatre paesi partecipanti. Dusseldorf, palcostellare con un ledwall lungo sessantacinque metri, trentasettemila ad applaudire in platea. Gualazzi, sapete quel ragazzo che si è innamorato del ragtime fino a trasformarlo in una cifra musicale tutta sua, ha cantato senza un filo di emozione, quindi benissimo, una Madness of love, che poi non è altro che la versione riveduta e corretta di Follia d’amore che ha appena vinto il Sanremo dei giovani.
E quatto quatto torna nel palco dell’Italia di fianco a Caterina Caselli, ad Alessandro Ragni, insomma ai suoi discografici, mentre Raffaella Carrà dallo studio di Roma su Raidue tifa che nemmeno allo stadio. I voti sgocciolano, latitano poi si impennano mescolando il televoto e i pareri dei delegati di ciascuna nazione e alla fine il vero «hombre del partido» è lui, secondo appena sotto la coppia fugace Ell/Niki dell’Azerbaijan. Ma guarda un po’: e poi si scoprirà che tutte le nazioni hanno dato almeno un voto a quel trentenne marchigiano che fino a pochi mesi fa, prima del Festival, nessuno conosceva e tanti critici dicevano Gualazzi chi?
In fondo una bella soddisfazione, vero?
«Se, dopo questo risultato, anche una sola persona si andrà ad ascoltare la musica di Fats Waller o di Willie “The Lion” Smith, allora sì che avrò fatto qualcosa di buono».
Non è troppo modesto? Il jazz, dicono, in fondo è musica d’elite.
«È solo questione di abitudine. Fino agli anni Cinquanta e Sessanta, l’orecchio di tutti era abituato a questi suoni».
Sì ma poi ciao.
«Ed è un errore. Il jazz è una delle matrici della musica moderna e senza dubbio il pop continua ad alimentarlo, attraverso colori e stimoli sempre attuali. Non sono due compartimenti a tenuta stagna ».
E lo dimostra il fatto che, forse per la prima volta nella storia, un jazzista ha convinto tutti all’Eurofestival.
«Sono piaciuto sia al televoto che ai singoli esperti di ciascuna nazione».
Lo sa vero che molti considerano l’Eurofestival un tempio del trash? «La musica è musica e io vado dove si può suonare. In ogni caso, basta di sfruttare sempre gli stessi cliché. La musica è un territorio di scambio tra chi ha qualcosa da dirsi e qualsiasi modo va bene».
Lei lo ha fatto suonando un pianoforte trasparente.
«Era un normalissimo
Kawai».
Spettacolare, però.
«Il giorno prima mi hanno fatto addirittura provare con gli abiti di scena per calcolare bene le riprese. I tedeschi hanno organizzato questo show alla perfezione».
Forse per questo in scena lei era così tranquillo. È scaramantico?
«Prima dello show io e la band ci auguriamo sempre e soltanto buona fortuna. Anzi no, stavolta avevo con me un piccolo amuleto: un bottoncino che mi ha dato un tecnico del suono che mi accompagna sempre in tour».
Ha portato bene.
«Beh sì, siamo andati benissimo in una manifestazione dove il mio genere musicale era proprio diverso da quello di tanti altri, qualcuno pop, qualcuno dance, altri addirittura rock ma proprio rock».
Lei è molto conosciuto in Italia e un po’ in Francia. Da adesso lo sarà anche in altri 41 Paesi.
«Mica male no?»
Oltre che da San Marino, lei ha preso il pieno di voti anche da Malta, Spagna e Lettonia.
«l’Eurofestival è una vetrina che va sfruttata».
Per Raffaella Carrà è una sorta di Olimpiade della musica.
«Sì in un certo senso è vero anche se io non ho visto competizione, almeno non la sentivo».
Difatti, quando la inquadravano dopo la sua esibizione, era tranquillo come una pasqua.
«Avevo fatto il mio dovere e mi stavo rilassando».
Niente agitazione?
«No, tenevo più che altro alla qualità della mia esibizione. Però c’è stato un momento di suspence....».
Vede che era agitato?
«Ma no, è soltanto che sono partito con un punteggio basso e sono cresciuto lentamente. Ma non mi sono agitato, mi sono divertito come un matto».
Caterina Caselli dice di lei una cosa enorme: che fa stare bene il proprio pubblico.
«E adesso voglio tornare a casa a dormire. E poi abbraccerò una per una tutte le persone che mi vogliono bene».
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