Ci sono libri che non perdono d'attualità, col passare del tempo. Al contrario, ne acquistano. Evidentemente nell'episodio storico cercano e trovano qualcosa di eterno, una verità sulla natura dell'uomo. Appartiene a questa categoria il romanzo Occidente (Apogeo, pagg. 130, euro 15) di Ferdinando Camon, tra i maggiori scrittori italiani. La prima edizione risale al 1975. Siamo a Padova, dove infuriano gli anni di piombo. Camon segue, con precisione, le vicende del leader di estrema destra chiamato Franco ma ci sono anche gli estremisti di sinistra, anch'essi ritratti dal vero. Franco Freda, tra le altre cose accusato e assolto per la strage di Piazza Fontana, si riconobbe nel personaggio di Franco, disegnato da Camon sulla base delle sue ricerche. Oggi editore di Ar, Freda ha pubblicato Scontro con Ferdinando Camon dove esprime il suo punto di vista. Quella stagione, oggi, è archiviata, anche se molti misteri sono stati capaci di resistere al tempo (e al fatto che le carte davvero scottanti sono sotto segreto di Stato). Eppure Occidente ci interroga con la medesima forza. Al centro del libro c'è il «diritto alla strage» rivendicato dai terroristi. Essi si collocano in una posizione di superiorità morale, che consente loro di commettere azioni atroci (nel libro progettano di far saltare in aria un asilo) senza sentirsi colpevoli. Il terrorista islamico non si nasconde dietro il «diritto alla strage»? E cosa dobbiamo pensare, in questi giorni, davanti ai missili russi che colpiscono anche obiettivi civili? In fondo anche gli Stati rivendicano un diritto alla strage. Cosa c'è di più lontano dal cristianesimo di questa visione della storia? E cosa c'è di più «occidentale» del cristianesimo? Giriamo queste osservazioni a Camon.
In quali circostanze fu scritta la prima edizione del libro?
«All'inizio degli anni Settanta insegnavo. Erano gli anni di piombo. Padova era una città dove si fronteggiavano estremisti di ogni colore politico. Io venivo minacciato in continuazione, ogni giorno. Mi telefonavano alle tre di notte. Temevo di essere gambizzato. Per un certo periodo fui costretto a cambiare aria».
Dove andò?
«In un albergo di San Vito di Cadore. Eravamo fuori stagione. Nella solitudine cominciai a scrivere Occidente, la storia, documentata, dell'estremismo di destra, soprattutto. Con un'ampia digressione anche su quello di sinistra».
Come si è documentato?
«Ho rischiato di mettermi nei guai per ricostruire la struttura delle cellule rivoluzionarie e capire il loro funzionamento. Non c'era niente di segreto, all'apparenza. Veniva organizzato un incontro in università. Ci andavi ma scoprivi subito che il vero incontro non era lì. Ti facevano delle domande e ti spedivano a un altro indirizzo dove la scena si ripeteva quasi identica. Dopo una serie di passaggi si arrivava all'effettivo raduno, di solito a casa di qualche studente, e si poteva assistere».
Che cosa ha sentito dire a questi incontri?
«Progetti tanto grandiosi quanto folli. Era interessante. Cominciai a studiare la materia a fondo. Il terrorismo nero, a Padova, come punto di riferimento aveva una libreria nei pressi della facoltà di Lettere. Era aperta solo un giorno alla settimana, per poche ore. Vendeva libri teorici ma anche pratici per chi avesse in mente di sovvertire lo Stato con ogni mezzo. Sono andato tre o quattro volte a comprare materiale. All'ingresso ti schedavano. Diedi false generalità, poi mi prese il timore di essere smascherato».
Se qualcuno era sospetto, cosa poteva succedere?
«C'erano le espulsioni. Tra i fatti di quegli anni ricordo la cattiva sorte di un militante appena buttato fuori da un gruppo comunista. Per caso, subito dopo, si trovò faccia a faccia con un leader della destra. Fu prelevato e portato in una stanza completamente nera. Temeva ormai di venire ucciso. Invece fu lasciato andare con queste parole: È la quantità che determina il valore di una azione rivoluzionaria. Tu sei una quantità minima, puoi andartene. Alcune di queste persone, tra parentesi, ancora le incontro per strada».
Si documentò talmente bene che una parte di Occidente fu trovata nel covo dei terroristi...
«E da lì finì negli atti del processo. Onestamente ebbi paura di essere scambiato per ispiratore del gruppo. In Occidente avevo preso spunto da pagine di un libretto semi-clandestino che mi ero procurato. I capi le usavano per chiarire alle truppe quali fossero gli obiettivi del terrore. Rimasi di stucco».
Sono le pagine fondamentali del libro. Quelle del presunto «diritto di strage». Cosa significa questa espressione?
«Il diritto di strage è il diritto di pochi di imporre la propria visione della storia. Se per imporla c'è bisogno che qualcuno muoia o sparisca, il terrorista si sente in diritto di farlo morire o sparire. La sua visione della storia è al di sopra della vita altrui. Il terrorista si pone quindi in una posizione di assoluta superiorità morale, che giustifica ogni azione. Ne ho chiesto conferma a uno dei capi dell'eversione nera».
Quando?
«Finita la stagione dei processi. Lo incontrai e gli posi la domanda senza tanti giri di parole: Sei innocente?».
Cosa rispose?
«Prima di accompagnarmi all'uscita disse queste parole: È innocente non colui che è incapace di peccare ma colui che pecca senza rimorsi. Non aggiunse altro. Sentiva di avere un codice morale che lo assolveva da tutto, perfino da una ipotetica strage. Penso che questo tipo di mentalità sia comune a tutti i terroristi, di ogni colore politico e non solo politico, anche religioso».
Il diritto alla strage viene rivendicato anche dai terroristi islamici?
«Non c'è dubbio, ragionano allo stesso modo. Hanno un sistema morale che non solo li assolve da ogni colpa ma addirittura li condanna se non la commettono».
Mentre stiamo parlando, la televisione trasmette le immagini di un centro commerciale ucraino bombardato dai russi. Anche questo rientra nel fantomatico «diritto alla strage»?
«Mi stavo interrogando. Certo, la situazione oggettiva è completamente diversa, stiamo parlando di proiettili d'artiglieria sparati da lunga distanza ma le finalità, nel caso che lei ha citato, non mi sembrano diverse da quelle del terrorista. Si direbbe un obiettivo voluto, cercato, segnalato. Quando si spara a lunga gittata c'è sempre un osservatore, vicino al bersaglio, pronto a riferire se è stato centrato. Il terrorismo fa parte della guerra, da sempre».
Perché ha scelto il titolo Occidente?
«Quando ho scelto il titolo, in molti luoghi dell'Occidente si verificavano fatti come quelli raccontati nel libro. Era una condizione comune. Il terrorismo era una caratteristica che accompagnava la morte dell'Occidente».
I terroristi di Occidente sono profondamente anti-cristiani, non le pare?
«Non c'è dubbio, per me, che sono cristiano, che la decadenza della nostra civiltà comprenda un rallentamento, una mancata efficacia del cristianesimo. Questa civiltà violenta e mortifera è una civiltà che rinuncia a essere cristiana».
Nel libro c'è lo scontro tra estremisti di destra e di sinistra. Erano simili oppure no?
«All'epoca, a Padova, entrambe le parti erano molto forti. L'eversione di destra puntava sulle stragi. Quella di sinistra puntava sulle gambizzazioni, sull'azione esemplare, sul colpire i borghesi per rieducarli. La destra voleva far paura al fine di costringere il popolo a inginocchiarsi davanti a chi prometteva ordine. La sinistra voleva far paura per rieducare, con la violenza, il popolo, costringendolo ad accettare un diverso tipo di società. Le figure guida erano Franco Freda a destra e Toni Negri a sinistra».
Perché ha deciso di riscrivere proprio adesso Occidente?
«Tra me e questo romanzo c'è una lotta personale che va avanti da decenni.
Sentivo di non potermi ritirare dalla scrittura e dalla vita senza fare i conti con Occidente per l'ennesima volta. È stato un libro tormentato dalla scrittura tormentata. Adesso c'è un altro clima e finalmente posso concludere questa battaglia».
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