Cosa siamo disposti a fare per la nostra felicità? Per essere accettati, per farcela in una dimensione esistenziale difficile, fatta di una vita che molto spesso sembra essere una corsa infinita senza un orizzonte certo? Potremmo fantasticare su come cambiare fattivamente il nostro destino, magari scappando via oppure combattendolo, oppure su come eliminare definitivamente le persone che possono causarci tanto male, soprattutto quando si hanno tredici anni, si frequenta la scuola media e ciò che ti circonda è soltanto uno schiacciante peso per la tua giovane età.
Non è un lavoro per ragazze (edizioni e/o, pagg. 192, euro 18, traduzione di Anna Spesshio) di Sakuraba Kazuki (nella foro), scrittrice e nota bibliofila che legge oltre 400 libri l'anno, ha questo primo strato che appare chiaro nella sostanza narrativa di cui è composto: Onishi Aoi abita in un'isola giapponese della prefettura di Yamaguchi, uno spazio vitale che di vitalità non ha assolutamente nulla se non le storie che la nutrono muovendosi al suo interno.
Ci sono le ragazzine con i loro gruppetti, i loro amori, un McDonald's a fare da crocevia di sguardi, noia e risate, la campagna e il mare attorno, con quel ponte che una volta attraversato porta nella città, altrove. Aoi è una ragazza all'apparenza come tante altre, vivace ma non problematica («Ero la classica studentessa da menzionare negli esempi, perché in classe non stavo mai zitta e passavo come quella piena di amici che però non faceva innervosire i docenti»), orfana di padre, vive con la mamma e il patrigno, un pescatore che ritrovatosi senza lavoro si è lasciato andare al demone dell'alcol, finendo per farsi possedere completamente, nonostante la sua salute precaria. Una ragazzina che si diverte a far ridere, che gioca ai videogiochi che le permettono di riflettere su se stessa, vedersi completa, forte, mentre comanda il suo drago da battaglia, e che spesso non riesce sopportare il peso delle parole e dei pensieri altrui.
Tutto sembra perfetto nella sua imperfezione e linearità, finché la giovane bibliotecaria dell'istituto non la passa un libro intitolato «Perché le persone vogliono morire?» e si apre una sorta di voragine («Ho pianto di nascosto per l'intera ora di lettura. Con la stessa malinconia dell'uomo delle caverne») su di lei, ma soprattutto nella sua vita, perché la bibliotecaria diventerà il fulcro narrativo di ciò che vivrà: l'omicidio.
Perché Miyanoshita Shizuka, che non è soltanto una ragazza che fa la bibliotecaria, una studentessa dal look strano fuori dall'istituto e silenziosa nei corridoi della scuola, porterà la protagonista sul confine tra vita e morte, facendoglielo oltrepassare in un vortice intimista, paranoico e spaventoso che una ragazzina potrebbe nutrire costantemente.
Shizuka si lega ad Aoi, con la morte e la morte diventa la vita costante di entrambe, un gioco di sguardi, non detti, timori, sotterfugi che però condurranno la protagonista in luoghi totalmente inaspettati della mente umana, e quell'aiuto richiesto all'amica bibliotecaria diventerà il volano per scoprire che nulla è come sembra.
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