Se Emma e Susanna bloccano l'Italia...

La liturgia degli incontri con sindacati e Confindustria non serve: il governo osi anche scelte impopolari. L'esempio: Marchionne ha evitato mediazioni e ha posto le questioni sul piatto

Se Emma e Susanna 
bloccano l'Italia...

Ieri i mercati hanno fatto un capitombolo. Oggi il gover­no incontra le parti sociali. Sulla prima disgrazia si può far poco. Sulla seconda con­verrebbe intervenire. Al go­verno si chiede di far qualco­sa per la crescita. Come pri­ma cosa dovrebbe rispar­miare l’acqua minerale de­gli incontri con Confindu­stria e sindacati. Basta. Stop. Nessuno può pensare che ci sia da queste parti un pregiudizio nei confronti delle imprese, quelle picco­le in particolare, che ogni giorno fanno il loro mestiere e creano ricchezza per il Paese. Ma ci rifiutiamo di credere che la liturgia degli in­contri ministeriali serva a qual­cosa. Anzi è vero il contrario.

L’Italia è piena di tavoli, incon­tri, concertazioni, simposi, ma nonostante ciò (o grazie a ciò) è bloccata. Ferma. Il governo ha ovviamente le sue responsabili­tà. Evidentemente fa comodo condividerle con gli organismi intermedi. Ma chi l’ha detto che un accordo governo-Confindu­stria sia un bene per il Paese? Ne abbiamo fatti centinaia. E siamo al punto di partenza. Quando si dice che l’esecutivo deve osare l’impopolarità,inten­diamo anche questo. Sono paga­ti per decidere e assumersi le re­sponsabilità. Ci vuole la signora Marcegaglia per spiegare a Ber­lusconi che si potrebbero azzera­re gli aiuti pubblici alle imprese e magari trasformarli in riduzio­ni fiscali? Ci vuole l’ottimo Guer­rini (che lo scrive e lo dice da de­cenni) per dire che non si posso­no applicare ai barbieri gli stessi obblighi in materia di rifiuti pen­sati per l’Eni? Ma non prendia­moci per i fondelli. Meno acqua gasata. Il premier si lamenta giusta­mente che il nostro sistema legi­slativo e di governo è talmente farraginoso che gli impedisce di governare come si deve. Ebbe­ne, la smetta allora di convocare e riconvocare un vertice dietro l’altro.

Ieri, sul Corriere della Sera , Al­berto Alesina e Francesco Gia­vazzi, hanno scritto un pezzo fa­voloso invitando il governo a ta­gliare la spesa pubblica e a non pensare alle patrimoniali: quel­le del passato non hanno risolto nulla. Sul medesimo quotidia­no, Maurizio Ferrera ha avuto il coraggio di dire che sulle pensio­ni si deve intervenire con forza. Il buon senso c’era, diceva Man­zoni, ma se ne stava nascosto per il timore del senso comune. Così siamo messi anche oggi. Un primo servizio per la crescita del paese il governo lo otterrebbe se avesse il coraggio di abbandona­re le liturgie, se avesse la forza (ma ce l’ha?) di disintermediare le organizzazioni di mezzo, per fare ciò che molti sanno e scrivo­no. Si parla tanto di liberalizzazio­ni. Alzi la mano chi è contrario. Ma veramente si pensa di farle con il consenso degli ordini, con la spinta del sindacato, con la for­za della Confindustria? Dov’era Confindustria quando il gover­no si è trovato solo a combattere contro l’assurda statalizzazione della distribuzione dell’acqua attuata dal referendum? Nei con­vegni ci parlano di competizio­ne, nell’urna degli affari loro. Bisogna «scriccare» per pensa­re al rilancio. Sergio Marchion­ne sa meglio di chiunque che produrre le auto in Italia è un ca­sino: costa troppo, abbiamo re­gole infinite e rigidità. Messo al­la corda, è andato direttamente dagli operai: o accettate il mio contratto, ha detto loro, o salta tutto. Un ricatto, dicono con qualche ragione i signori della Fiom. Non ha mediato, non ha cercato intese sottobanco. Ha posto la questione sul piatto con ruvida aderenza alla realtà. La politica economica di questo go­verno non ha alternative. O si li­bera dalla mediazione continua o è fregato. Cada in piedi, piutto­sto. Se la politica della Seconda repubblica è vecchia, non si rie­sce a comprendere come la rap­presentanza delle parti sociali, erede immutata della prima Re­pubblica, possa considerarsi gio­vane. La crescita, è ovvio, non si fa con decreto. Altrimenti ci vor­rebbe relativamente poco: baste­rebbe scriverlo in un comma. Es­sa si fa sbloccando l’Italia, scon­tentando pochi, ma molto ben organizzati, e accontentando molti, ma mal rappresentati.

Di­ciamo spesso che a mare si do­vrebbero buttare i nostri ordini professionali (e ne stavano ricic­ciando cinque nuovi), ma ci scor­diamo che

quel tavolo lungo che contiene rappresentanti di go­verno, sindacati e imprenditori è l’ordine più conservatore del­lo status quo che si possa imma­ginare. Qualche telefonata in più e un po’di acqua minerale in meno.

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