Se la «primavera araba» soffiasse fino a Kabul, sarebbe già un mondo diverso

«I talebani non sono nostri fratelli, Karzai smetta di inginocchiarsi davanti a loro». La più grande manifestazione tenuta nella capitale afghana riaccende la speranza di sconfiggere le bande di fondamentalisti e di cacciare il corrotto presidente ancora sostenuto dagli Usa

A volte i segni di cambiamento si vedono nelle pieghe della realtà. Per esempio, ieri, nella manifestazione che si è tenuta a Kabul, in Afghanistan, all'insegna dell'insofferenza ai talebani e al regime del presidente Karzai che continua a cercare un punto d'incontro con i fondamentalisti.
Alla manifestazione hanno partecipato molte migliaia di persone, raccontano le agenzie, appartenenti a partiti e movimenti di opposizione al governo. L'incontro denominato «per la giustizia» voleva sottolineare la contrarietà della parte più avanzata del Paese ad accordi di pace e riconciliazione con la setta talebana, che per anni ha terrorizzato gli afghani. Si è trattato di una delle manifestazioni di piazza più importanti degli ultimi tempi, secondo Tolo Tv, nella quale hanno preso la parola l'ex candidato presidenziale Abdullah Abdullah e l'ex capo della Direzione nazionale per la sicurezza (Nds), Amrullah Saleh.
Davanti a un pubblico formato prevalentemente da persone appartenenti alle province del Nord e al Panjshir quasi tutte riconoscibili per nastri e bandiere verdi, Saleh ha apertamente criticato il capo dello Stato quando ha sostenuto fra l'altro: «Lei chiama i talebani fratelli, ma qui siamo davanti a una oppressione della nostra nazione. Quelli non sono nostri fratelli».
Dopo aver ribadito che «Al Qaida e i talebani sono terroristi», l'ex capo dei servizi di intelligence afghani ha concluso che «se il governo non ci ascolterà, torneremo presto ad occupare le piazze del paese». Da parte sua Abdallah, leader della coalizione Cambiamento e Speranza, ha sostenuto che «non dovremmo pregare e rivolgere preghiere a gente che si è messa dalla parte del terrorismo agli ordini di servizi segreti stranieri per rovinare il paese. La nostra dignità e reputazione - ha concluso - non ci permette di fare richieste con le mani giunte ai talebani».
C'è da chiedersi, a questo punto, se dopo un decennio di occupazione militare occidentale non stia crescendo nel martoriato Paese un'opinione pubblica libera dal condizionamento fondamentalista e consapevole che l'avvento di una democrazia deve necessariamente passare per una netta cesura con il passato. Un superamento totale della arcaica logica di potere che si perpetua in virtù di accordi fragili tra le diverse tribù e con occhio benevolo verso la diffusione dell'islamismo più oltranzista.
È ancora prematuro per parlare di una svolta, naturalmente. Ma se gli echi della «primavera araba» arrivassero fino in Afghanistan - complice lo scoramento dei facinorosi amici dello scomparso Osama Bin Laden - saremmo davvero di fronte a un cambiamento profondo nell'area.

Tanto da potersi interrogare sull'appoggio che le forze occidentali ancora vogliono riservare a un presidente screditato come Karzai. Chiacchierato a casa propria per la corruzione del proprio gruppo dirigente, e pronto - pur di restare in sella - a far rientrare dalla finestra i talebani cacciati via dalla porta.

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