Ormai non passa giorno senza che salti fuori qualche ricerca «scientifica» che meriterebbe al più di essere pubblicata a fumetti. Ora si fa avanti il progettista del «coscienziometro», pur confessando di non sapere cosa sia la coscienza e come si possa misurare. Poi c’è la ricerca che determina il modo in cui la fede e l’ateismo influenzano la percezione delle immagini. Altri annunciano che il perfezionamento degli occhiali 3D permetterà di trasferire la nostra vita nel mondo virtuale. Un’altra ricerca però avverte che il 40% di coloro che usano quegli occhiali escono dal cinema col mal di testa. Ci si chiede: che senso ha procurarsi un mal di testa nel mondo virtuale invece di toglierselo con una passeggiata al sole e al vento del mondo 3D reale? Domande da retrogradi. C’è poi il mondo di chi spiega che i nati in dicembre avranno una vita di insuccessi o studia come la nascita in luna piena influenzi la vita professionale: un vasto campo di ricerche di cui varrà la pena parlare per le sue implicazioni nella sfera dell’istruzione.
L’ultima segnalazione riguarda una ricerca di un gruppo di scienziati spagnoli, Manuel Vazquez Caruncho e Francisco Branas Fernandez del «Complexo Hospitalario Xeral-Calde» di Lugo. In un articolo pubblicato sulla rivista Medical Humanities spiegano di aver fatto una «scoperta», attraverso l’analisi di documenti d’epoca. È noto che il grande musicista Fryderyk Chopin aveva la tendenza a sognare a occhi aperti mentre suonava il pianoforte. La sua amante George Sand definiva questi stati come «la manifestazione di un genio pieno di sentimenti e di espressione». Niente affatto. Erano soltanto gli accessi di una forma di epilessia del lobo temporale. Ed ecco liquidate centinaia di pagine sullo stile di Chopin, sulla sua estetica musicale romantica: era mera patologia cerebrale.
Questo genere di riduzionismo non è nuovo. Anni fa si era detto che la scienza era in procinto di spiegare che il sentimento di trascendenza e la religiosità mistica sono forme epilettiche. Insomma, Galileo, Newton, Keplero, e tanti altri erano grandi scienziati che però avevano un difetto cerebrale. Ora la nuova disciplina della «neuroteologia» avrebbe individuato le conformazioni neuronali responsabili del senso di trascendenza. La discussione verte sulla questione se si tratti di qualcosa destinato a sparire da sé nel processo evolutivo o se il progresso delle neuroscienze permetterà di eliminarlo con un intervento esterno.
Emerge un programma interessante per la sociologia della scienza: indagare le cause per cui tanti ricercatori, invece di occuparsi di questioni scientifiche serie, impegnano tempo, energie e fondi pubblici e privati per «studiare» simili bestialità. Ma è evidente la motivazione ossessiva di tutte queste «ricerche»: tentare di dimostrare in qualsiasi modo che non esistono processi mentali, che non esistono pensieri o sentimenti, anzi, che non esiste cultura di alcun tipo, bensì soltanto processi cerebrali, e che molte delle costruzioni culturali che consideriamo reali da secoli - letteratura, musica, arti figurative, filosofia e, in particolare, la religione - sono soltanto frutto di configurazioni neuronali, in molti casi patologiche. Il romanticismo musicale, la filosofia di Platone, la religiosità di Galileo, sono soltanto malattie.
Del resto, il discorso non è nuovo e con la scienza non ha niente a che fare, è pura e semplice ideologia: si vanta come un grande progresso il fatto che la tecnoscienza abbia rivolto la sua attenzione all’uomo, non considerandolo come qualcosa di particolare e specifico, ma come un oggetto da studiare con i metodi delle scienze naturali, come se fosse una pietra o una pianta. La «naturalizzazione» dell’uomo fa sparire tutta la sua cultura e con essa anche la morale, l’etica, produce un totale svuotamento di senso. Non soltanto la religione, ma anche il «mondo morale dentro di noi» di cui parlava Kant sono spazzati via. Non esistono «principi» o comandamenti morali, ma soltanto credenze passeggere che non sono neppure costrutti culturali, ma mere conformazioni cerebrali contingenti.
È evidente che questo scientismo d’accatto - perché i suoi prodotti sono di una miseria tale da offendere la sola menzione della scienza - porta acqua al mulino di quelle ideologie che vogliono fare a pezzi l’odiato «essenzialismo» della cultura occidentale, la sua pretesa di aver stabilito, sia pure attraverso grandi difficoltà, contraddizioni e anche tragedie, i capisaldi morali di società basate sul rispetto della persona.
Naturalmente si dirà che non è così, che chi cerca di ricondurre a una spiegazione «razionale» e «scientifica» i processi mentali e culturali e i fondamenti della morale o del senso di trascendenza, ingaggia una nobile lotta contro i miti e le credenze irrazionali e offre a tutta l’umanità una via per liberarsi da questi fantasmi. Già. Peccato che più s’insiste in questa direzione e più cresce la quota dell’umanità che non ne vuol sapere e che guarda alla tecnica in modo meramente strumentale senza per questo rinunciare alle proprie credenze, ai propri miti e alla propria religione. Raramente si è visto un periodo nella storia dell’umanità di tanto ampia diffusione delle religioni e del misticismo, in particolare nelle forme fondamentaliste più estreme (inclusa quella del fondamentalismo scientista...). Siamo di fronte a un’epidemia di forme epilettiche? O forse il farmaco non funziona? Un divulgatore scientifico molto popolare nel popolo viola ha dichiarato di recente che «per capire il mondo e per cambiarlo si potrebbe fare a meno della letteratura, non della matematica. Nell’antichità c’è stata molta matematica prima ancora dei grandi poemi: la letteratura è una riflessione, quindi è posteriore». A parte la sciocchezza - matematica e scrittura sono nate insieme e i miti poetici certamente prima, nelle forme orali - ha senso privarsi della dimensione razionale che offre la letteratura e, aggiungo, la riflessione filosofica, la sensibilità artistica, la religione? Non sarà che il fondamentalismo dilaga proprio perché la dimensione della razionalità scientista da sola è impotente a fronteggiare questo fenomeno, se addirittura non lo alimenta?
Dicevamo che sembra che il farmaco non funzioni. Ma sembra invece che funzioni proprio qui in occidente, con la conseguenza di fare a pezzi l’idea che possano esistere solidi principi morali su cui basare la convivenza. Le tradizioni ebraica e cristiana hanno combattuto per affermare l’idea che alcuni principi, come «Non uccidere» o «Ama il tuo prossimo come te stesso», sono basilari, non negoziabili e debbono costituire il fondamento della società. E, malgrado tutto, qualche risultato l’hanno ottenuto, visto che i paesi occidentali sono quelli in cui tanta gente preme per venire a vivere. Ma ora non è più soltanto un fondamentalismo relativista a predicare che quei principi sono opzioni che valgono quanto la poligamia o il taglio della mano: se ne offre la «dimostrazione» (fasulla) riducendoli a processi neuronali, per giunta patologici, in quanto frutto del trascendentalismo religioso.
Si dice da più parti che il multiculturalismo è un fallimento.
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