Il secolo di Henry Kissinger il "saggio" della diplomazia

La fine della guerra in Vietnam, la limitazione delle armi nucleari, la visita di Nixon a Pechino: i suoi capolavori

Il secolo di Henry Kissinger il "saggio" della diplomazia

Alla metà degli anni Settanta mentre l'allora Segretario di Stato Usa Henry Kissinger era al culmine della sua carriera pubblica l'ambasciatore Ludovico Incisa di Camerana, uno dei migliori diplomatici italiani noto anche come storico e politologo, pubblicò, con lo pseudonimo di Ludovico Garruccio, un bel saggio su L'era di Kissinger che si apriva con una affermazione apparentemente paradossale o, forse, oscura: «Kissinger non corrisponde all'immagine anglosassone del self-made man. La sua ascesa è opera dell'intelletto non della volontà o del carattere. Non vi è ugualmente nulla di patetico e nulla di definitivo nel suo successo personale che ha lo smalto e la gracilità di un'elegante costruzione dello spirito».

Questa battuta, a prima vista, potrebbe sembrare campata in aria. Uno sguardo alla biografia di Kissinger, che sabato ha toccato il traguardo dei cento anni, sembrerebbe smentirla e sembrerebbe, invece, confermare l'immagine di un self-made man. Nato in Baviera, nella città di Fürth, da una famiglia ebraica piccolo-borghese, la seguì negli Stati Uniti dove s'era rifugiata dopo l'emanazione delle leggi razziali. Qui egli si ritrovò costretto, anche mentre compiva i suoi studi, a contribuire al bilancio familiare, facendo piccoli, umili e occasionali lavoretti.

Eppure Kissinger, malgrado queste sue origini, è, davvero, tutt'altro che un self-made man o un personaggio simile a certi protagonisti dei romanzi sociali inglesi dell'Ottocento. Ha ragione Incisa di Camerana ad attribuirne il successo alla eccezionale forza del suo pensiero e a lasciar intendere come il suo agire politico sia stato sempre frutto di precise visioni speculative. Anche l'americano Stephen R. Graudard, peraltro, in una sua pionieristica biografia, Kissinger, ritratto di una mente (1974) sostenne che questi si era fatto strada «con l'intelligenza e con la forza delle parole» e invitò a leggerne libri e articoli per comprenderne la politica al di fuori dei luoghi comuni e degli stereotipi, mentre il grande storico conservatore Niall Ferguson in una sua monumentale biografia Kissinger, 1923-1968: The Idealist (2015) ne ha messo in luce lo spessore speculativo parlandone come di «un idealista kantiano, non un idealista wilsoniano».

Per capire davvero Kissinger credo si debba ricordare il fatto che egli, anche se non volle mai professarsi storico, fu, da sempre, interessato oltre che ai temi di strategia e alla tecnica diplomatica alla storia, alla filosofia e alla filosofia della storia. Non è un caso, per esempio, che la ponderosa tesi di dottorato discussa ad Harvard nel 1950 e pubblicata solo qualche tempo fa con il titolo The Meaning of History: Reflections on Spengler, Toynbee, and Kant (2023) riguardasse tre pensatori che affrontavano, i primi due, il tema del divenire storico in genere e della decadenza della civiltà occidentale in particolare, e, il terzo, il tema del rapporto fra storia ed esperienza morale dell'individuo. Kissinger apprezzava Oswald Spengler perché il teorico del «tramonto dell'Occidente» aveva capito, secondo lui, «la fatalità degli accadimenti storici», ma, al tempo stesso, parlando di Arnold Toynbee, il quale collegava la fine di una civiltà alla mancata risposta alla sfida di un'altra civiltà emergente, finiva per porre, surrettiziamente, il tema della leadership e, attraverso Immanuel Kant, della moralità.

Ancora più importanti per una piena comprensione di Kissinger sono Diplomazia della Restaurazione (1973; ed. or: A World Restored 1957) e L'arte della diplomazia (1996; ed. or.: Diplomacy 1994), nonché Leadership. Sei lezioni di strategia globale (2022). Si tratta di tre opere fra loro complementari: la prima è una vera «rivisitazione» storica del Congresso di Vienna attraverso l'analisi dell'azione politico-diplomatica del principe Klemens von Metternich e di Lord Castlereagh; la seconda è una carrellata di storia delle relazioni internazionali dai tempi di Theodore Roosevelt fino a Reagan e Gorbacev; la terza, infine, attraverso l'analisi di una serie di casi esemplari (tra i quali Adenauer, De Gaulle, Nixon, Sadat e Thatcher), tratteggia l'evoluzione della leadership dall'aristocrazia alla meritocrazia.

Dalla lettura combinata di questi lavori è possibile ricostruire la personalità e le idee politico-strategiche di Kissinger che appare come un conservatore preoccupato di costruire ovvero di salvaguardare un «ordine legittimo», cioè sostanzialmente condiviso, compatibile con le diverse situazioni storiche. La sua attività politica si è sempre ispirata a queste idee corroborate da un pragmatismo di fondo. Il momento culminante della sua carriera pubblica fu quello della collaborazione con Richard Nixon, prima come consigliere per la sicurezza nazionale poi come segretario di Stato. I due uomini, per quanto fossero di carattere diverso, si trovarono in profonda sintonia. Tra essi, anzi, al di là della collaborazione nacque una profonda amicizia corroborata dalla stima reciproca. Non a caso, la sera e parte della notte precedente le dimissioni di Nixon per il caso Watergate, Kissinger volle essere vicino al suo Presidente e la narrazione di quell'incontro contenuta nel secondo volume delle sue memorie, Anni di crisi (1982), è addirittura toccante per il senso quasi reverenziale dimostrato nei confronti di un uomo del quale traccia un bilancio politico sostanzialmente positivo caratterizzato da molte luci e da poche ombre.

Il periodo della collaborazione fra Kissinger e Nixon finì, comunque, per segnare una svolta nelle relazioni internazionali. Kissinger si adoperò, utilizzando le armi della diplomazia, per mettere la parola fine, con una pace onorevole, alla drammatica guerra del Vietnam iniziata dalle amministrazioni democratiche e da lui sempre criticata. Poi si adoperò, attraverso una frenetica attività di viaggi, oltre che di colloqui e incontri con i leader di tutto il mondo, per una politica di distensione che portasse alla limitazione delle armi nucleari da parte delle due superpotenze e agli accordi di non proliferazione delle armi strategiche, negoziando il trattato Salt.

Il capolavoro, però, della diplomazia kissingeriana fu rappresentato dal superamento della contrapposizione Usa-Urss propria della Guerra fredda realizzato con la storica visita di Nixon in Cina del febbraio 1972 che segnò il passaggio da un assetto bipolare delle relazioni internazionali a un assetto tripolare che vedeva finalmente la potenza asiatica riconosciuta ufficialmente. Fu uno di quegli eventi storici destinati a marcare la storia mondiale.

Dopo la caduta di Nixon, per qualche tempo Kissinger continuò a ricoprire l'incarico di segretario di Stato, ma poi, con l'avvento delle amministrazioni democratiche e anche con quelle repubblicane di Reagan e Bush non ebbe più incarichi ufficiali ma continuò e continua tuttora ad essere presente sulla scena come autore e come «saggio». I suoi interventi riflettono il realismo e il pragmatismo di un conservatore fieramente anticomunista ma non alieno dalla ricerca del dialogo fondato sulla forza dell'arte diplomatica per raggiungere quell'«equilibrio di potenze» essenziale per il mantenimento di un «ordine internazionale». Anche nella crisi attuale che vede una feroce e inumana guerra in atto fra Russia e Ucraina, egli non ha fatto mancare la propria parola richiamando, sempre, l'attenzione sulla necessità di cercare una soluzione attraverso la diplomazia: e ciò anche se il suo atteggiamento, inizialmente in qualche misura aperto alla Russia, è poi mutato, proprio in virtù del suo pragmatismo e del suo realismo politico, fino a ribadire le ragioni dell'Ucraina.

Oggetto di esaltazioni ma anche di critiche per il cinismo dimostrato in alcuni casi come, per esempio, il presunto coinvolgimento nel golpe cileno che portò

all'uccisione di Allende e all'avvento di Pinochet Kissinger, uomo di formazione e cultura anche filosofica «europea», in particolare tedesca, è destinato a rimanere davvero come uno dei «grandi» protagonisti della storia mondiale.

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