nostro inviato a Lisbona
Accordo raggiunto: l'Italia avrà 73 seggi all'Europarlamento, come la Gran Bretagna, uno in meno della Francia, dal 2009. Ma non è stato semplice, né è chiaro come si sia superato l'impasse. Anche perché Romano Prodi facendo ingresso al «Padiglione Atlantico» della Fiera di Lisbona annunciava secco: «La nostra posizione è chiara. Nel parlamento europeo c'è parità tra Italia, Francia e Gran Bretagna e non vedo nessuna ragione per cambiarla». Annuncio il suo che, nel gran vertice di capi di stato e di governo riuniti qui due giorni per il varo del nuovo trattato europeo che sostituisce la Costituzione bocciata dai referendum franco-olandesi, era accolto con malcelato fastidio.
C'è di più: l'ipotesi del premier italiano di rinviare la definizione del numero dei parlamentari era bocciata da Zapatero e dai maltesi: «Se sarà così non voteremo il trattato!». Anche Merkel e Brown facevano orecchie da mercante. Mentre solo la presidenza portoghese - Socrates con l'aiuto di Barroso - provava a stemperare il niet italiano: troppo importante che il «trattato di Lisbona» andasse in porto. Si provava allora a buttare là una ipotesi: 750 più uno, il presidente dell'Europarlamento. L'Italia avrebbe raggiunto la parità con la Gran Bretagna. Bastava? Roma si diceva disponibile a discutere. Ma da Parigi a Berlino, fino a Vilnius ed Atene però nicchiavano: ritenevano la posizione italiana un braccio di ferro uso interno. E c'era anche chi si diceva sicuro che la minaccia del veto italiano nascondesse altri obiettivi. Sarà un caso, ma l'altra sera nella pre-riunione dei vertici del partito socialista europeo, l'ex presidente dell'Europarlamento Baron Crespo è tornato a ipotizzare Massimo D'Alema come ministro degli Esteri della nuova Ue da far nascere dopo Lisbona (un presidente non più a rotazione per semestri ma per cinque anni e un vice che ricopre anche gli incarichi attualmente di Solana e Ferrero-Waldner). E, sarà sempre un caso, ma ieri mattina nella riunione del Pse, si è spesa molta simpatia per il neonato Pd italiano, tanto da far dire a Prodi - concluso l'appuntamento - che «il Pse è intenzionato ad aprire un canale molto forte col partito democratico» e che nel gruppo socialista non si esclude, col tempo, neanche un cambio di nome.
Sia come sia - per l'aumento degli europarlamentari italiani si era battuto nella riunione del Ppe anche il vice-presidente italiano Tajani il quale ha dovuto ammettere come «Prodi si fosse svegliato un po' tardi» - l'obiettivo della parità con gli inglesi si è raggiunto a notte fonda, dopo minacce di fuoco e fiamme e dopo aver rotto il muro delle contestazioni. Cosa si sia offerto in cambio non è dato sapere.
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