Shakespeare, l'inglese così italiano nel cuore

In fair Verona, certo. Ma anche, si potrebbe dire, in fair Messina, in fair Firenze, in ancient Roma...

Shakespeare, l'inglese così italiano nel cuore

In fair Verona, certo. Ma anche, si potrebbe dire, in fair Messina, in fair Firenze, in ancient Roma... Nella bella Verona ci introduce il Coro di Romeo e Giulietta: è nella città veneta che si svolge per intero il dramma dei due amanti ed è lì che si combatte la battaglia fra le due famiglie rivali, i Montecchi e i Capuleti. Anche per questo, per il fatto che sul finire del Cinquecento William Shakespeare abbia deciso che è fra quelle antiche mura che intersecano le sponde dell'Adige che «we lay our scene», ovvero che lì si svolga la tragedia di un amore nato sotto una stella ostile, e diventato perciò immortale, Verona è Verona. La città degli innamorati, la città del balcone di Giulietta, fotografato da migliaia di turisti ogni anno. È vero, del resto, anche il contrario: il fatto che Romeo e Giulietta sia un'opera così amata, rappresentata e conosciuta da fare concorrenza alla Coca-Cola, è anche merito del fatto che sia ambientata in una (bella) città reale, che le persone possono visitare o, quantomeno, possono sognare di farlo. Del resto, lo stesso Shakespeare aveva lavorato di fantasia, ambientando il suo dramma in un luogo che non aveva mai visto, in un Paese di cui aveva soltanto sentito parlare. E in cui si accomodano decine di suoi personaggi, molti dei quali poco meno celebri dei due innamorati veronesi.

Ecco un piccolo elenco grandioso di commedie e drammi del Bardo collegati direttamente all'Italia: I due gentiluomini di Verona, che in realtà si svolge a Milano; Molto rumore per nulla, che va in scena a Messina; per restare in Sicilia, Il racconto d'inverno comincia a Palermo, per poi spostarsi in Boemia e i protagonisti della Commedia degli errori sono di Siracusa; Tutto è bene quel che finisce bene, con set a Firenze; La bisbetica domata, vale a dire la ricca Caterina, vive a Padova; Otello, per tutto il primo atto, è ambientato a Venezia, con tanto di senatori e Doge e camera di consiglio riunita, che spedisce il Moro in missione a Cipro (dove avverrà la sua irrimediabile discesa nell'inferno della gelosia); Il mercante di Venezia, anch'esso intriso di usanze della Repubblica; La tempesta ha per sfondo un'isola non identificata del Mediterraneo, dove si trova in esilio Prospero, il duca di Milano che, coi suoi sortilegi, lì fa naufragare suo fratello (usurpatore del titolo) e il suo complice, il re di Napoli. E poi ci sono le opere ambientate nella Roma antica: Giulio Cesare, Tito Andronico, Antonio e Cleopatra, Coriolano...

L'Italia, insomma, è per Shakespeare quella che oggi definiremmo una location ideale. O, pensando al romanzo d'avventura, è come l'Oriente esotico per Salgari: una geografia mai esplorata nella realtà ma ritrasformata dall'immaginazione, tanto da sembrare più vera della realtà stessa. A meno che, ovviamente, Shakespeare non sia stato in Italia, cosa di cui non c'è alcuna prova. E a meno che Shakespeare non fosse in parte italiano, come sostiene chi ritiene che il vero autore delle sue opere sia Giovanni Florio, in inglese John, per i detrattori dell'epoca «Johannes factotum»: al secolo, per quanto ne sappiamo ufficialmente, un umanista di origini italiane per parte di padre, nato a Londra intorno al 1553, emigrato al ritorno dei re cattolici, educato forse in Svizzera, forse in Italia e poi tornato Oltremanica verso il 1575, amico di Giordano Bruno (con il quale partecipa alla Cena delle ceneri), traduttore dei Saggi di Montaigne e del Decamerone e possessore di una biblioteca ricchissima di novelle della tradizione italiana. Si definisce «italiano di lingua, inglese nel cuore». A un certo punto, Florio pubblica i Second Fruits, una raccolta di espressioni idiomatiche e proverbi italiani che spingono Henr Wriothesley, conte di Southampton, a chiamarlo a casa propria come insegnante. E il conte, guarda caso, è protettore e amico di Shakespeare, il quale, quindi, aveva probabilmente accesso alla suddetta biblioteca. Nel 1598, Florio pubblica anche il dizionario italiano-inglese World of Words, che è una miniera linguistica eccezionale per l'epoca (e per gli scrittori in particolare). Non solo: traduce un manuale di scherma di Vincentio Saviolo, dal quale provengono i molti termini utilizzati per descrivere gli scontri/incontri fra Montecchi e Capuleti in Romeo e Giulietta...

Già, perché l'Italia non è solamente una ambientazione, per quanto rilevante, nelle commedie e nelle tragedie di Shakespeare: è, innanzitutto, una presenza culturale, è il Rinascimento che, qualche secolo dopo, invade la corte di Elisabetta I, il mondo che poi avrebbe dominato il mondo. Dante, Petrarca, Boccaccio, Baldassarre Castiglione, Pietro Aretino, Matteo Bandello, Giulio Romano, Niccolò Machiavelli, l'eredità di Roma.

Tutto questo entra nelle opere di Shakespeare e, trasformato, ritorna sui palcoscenici di tutto il globo, da quattrocento anni a questa parte. Non sappiamo chi fosse Shakespeare ma potremmo osare e dire, un po' come Florio, che fosse «inglese di lingua, italiano nel cuore».

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