Le sfide per aiutare i nuovi poveri vanne ben oltre il reddito di cittadinanza. A confermarlo è Luca Pesenti, professore associato di Sociologia generale all'Università Cattolica.
Lei crede sia possibile rispettare l'obbiettivo Onu di azzerare la povertà entro il 2030?
«Purtroppo quell'obbiettivo è diventato probabilmente irraggiungibile. Era stato fissato nel 2015 ma andrà sicuramente rimodulato per gli effetti del Covid».
Effetti duraturi anche nel mondo ricco?
«È purtroppo molto probabile, aggravando una tendenza che già si conosce. Se infatti da un lato la globalizzazione ha funzionato come re-distribuzione della ricchezza, dall'altro ha aumentato le diseguaglianze proprio in Occidente».
Chi sono i nuovi poveri da sostenere?
«A cadere sono i piccoli artigiani, i lavoratori autonomi, i lavoratori a basso reddito che arrivano da ristorazione, servizi e turismo. Le stime statunitensi dicono che fra dieci anni queste persone difficilmente faranno lo stesso lavoro di oggi. Siamo alla vigilia di un grande cambiamento sociale».
Quando scadranno il blocco licenziamenti e sfratti cosa succederà?
«Siamo impreparati ad affrontare l'aumento della povertà e siamo di fronte a un'autentica esplosione, soprattutto al Nord, che fino a pochi anni fa sembrava immune dal problema e oggi ha raggiunto livelli inimmaginabili. Anche il problema casa è una bomba pronta a esplodere. Non possiamo più continuare a ragionare per emergenze. Il Welfare va ricalibrato e corretto strutturalmente».
A cominciare dal reddito di cittadinanza.
«In tutta Europa viene considerato come l'ultima istanza. Prima ci sono politiche attive del lavoro che aiutano a ripartire. Da noi questo sistema non funziona: su un milione di persone che avrebbero dovuto sottoscrivere il patto per il lavoro, solo un terzo è stato preso in carico e solo la metà di questo terzo ha trovato lavoro. In tutto però la spesa è stata pari a 13 miliardi».
Cifre sproporzionate.
«Per di più c'è un altro evidente squilibrio: incrociando i dati su chi percepisce l'assegno e il numero delle persone in povertà assoluta, emerge che al Nord riceve il reddito di cittadinanza il 22% dei poveri assoluti, al Sud l'87%. Le soglie Isee di accesso non possono essere uguali in tutta Italia, occorre considerare il costo della vita. E soprattutto occorre ammettere che oggi è una misura prevalentemente assistenzialistica, dunque insostenibile».
Da dove cominciare per aiutare i nuovi poveri?
«Dal lavoro.
E poi, siccome la povertà è sempre più legata al numero di figli, occorre capire come verrà regolato l'assegno unico. Perché sia realmente un incentivo all'incremento delle nascite non deve essere pensato come una sorta di paternalistico risarcimento».
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