Roma - Più che l’effetto del voto utile sembra la maledizione dei cartelli elettorali, che da sempre colpisce «biciclette» e liste elettorali formate da più partiti. Solo che questa volta le proporzioni e gli effetti sono «disastrosi», «imprevisti», «terrificanti», per citare gli aggettivi utilizzati dai diretti interessati.
In poche parole la Sinistra arcobaleno non solo non otterrà nessun senatore, ipotesi che in qualche modo Fausto Bertinotti, Alfonso Pecoraro Scanio, Oliviero Diliberto e Fabio Mussi avevano messo nel conto. La novità delle politiche 2008 è che Rifondazione comunista, verdi, Comunisti italiani e Sinistra democratica non potranno contare nemmeno su un singolo deputato. Quindi dal Parlamento usciranno, per la prima volta dai tempi della costituente, i comunisti. E verranno cancellati anche i Verdi, che a partire dalla fine degli anni Ottanta sono stati una costante del panorama.
Traduzione parlamentare di una frana elettorale che ha provocato le immediate dimissioni di Bertinotti, che proseguirà «da militante» il progetto di un nuovo partito della sinistra, al quale non vuole proprio rinunciare. E che costringerà i politologi a scrivere altre pagine su cosa può succede ai partiti che si alleano solo per le elezioni. Ai tempi della Prima repubblica, al massimo, i listoni non riuscivano a ottenere la somma delle percentuali dei singoli partiti. La Sinistra arcobaleno non ha ottenuto nemmeno il risultato del miglior partito che compone il raggruppamento, cioè Rifondazione comunista. Al Senato, Sa ha ottenuto poco più della metà di quanto ottenuto dal Prc, da solo, nel 2006: 3,2 per cento contro il 7,2 di Rifondazione. Alla Camera il 3,1%. Molto sotto la soglia del 4% che avrebbe garantito qualche deputato.
Débâcle nazionale aggravata dai risultati nelle regioni rosse, dove la sinistra radicale sperava di raggiungere la soglia dell’8 per cento, necessaria a ottenere qualche senatore. E invece si dovrà accontentare di risultati dimezzati o poco più: il 3,8 in Umbria (14,8 per cento nel 2006), il 5,1 per cento in Toscana che va però confrontato con il 16% che i singoli partiti ottennero due anni fa.
Che il passaggio dall’11 per cento al 3,1 per cento sia una sconfitta, lo hanno ammesso tutti. Bertinotti ha evocato la svolta sindacale della marcia dei 40mila. E ha parlato di «sconfitta evidente», mentre non gli veniva risparmiato nemmeno il crollo dei loghi di cartone di Sa, davanti alle telecamere. Su diagnosi e prognosi, gli esponenti dalla sinistra radicale hanno usato accenti diversi. Colpa soprattutto di Veltroni. Del «voto utile» che «non è servito al Pd», lamenta Cesare Salvi. Un progetto politico iniziato tardi, forse. Nessuno parla dell’effetto rifiuti, tranne il leader campano del Prc Giuseppe De Cristofaro, sicuro che i cumuli di munnezza non c’entrino. Qualcuno, nello specifico il governatore della Puglia, Nichi Vendola (nella sua regione Sa si è fermata al 2,9%), avverte che «siamo stati percepiti come un residuo». Quello che è certo è che una resa dei conti ci sarà. Quella nei Verdi la evoca Grazie Francescato. E Alfonso Pecoraro Scanio assicura che farà un congresso straordinario. Quella del raggruppamento la annuncia Oliviero Diliberto, leader del Pdci che attribuisce la colpa del risultato all’assenza della falce e martello.
Per qualcuno la botta diventa persino un fatto positivo: «Avremo meno culi al caldo sulle poltrone», ha annunciato Paolo Cento, numero due dei Verdi, ex sottosegretario all’Economia, vicino ai centri sociali. La prospettiva di una nuova sinistra extraparlamentare non piace nemmeno a destra. Ma i militanti hanno già fatto capire come la pensano sul sito dell’Arcobaleno: «Ci resta solo la piazza».
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