Sul Foglio di lunedì scorso il direttore Giuliano Ferrara dedicò l’editoriale - «Perché la destra è repellente e la sinistra è tanto carina» - alla diversa autorevolezza che inspiegabilmente sono riservate alle idee e al pensiero di destra rispetto a quello di sinistra. «La destra economica, quella religiosa, quella culturale, quella politica - scriveva Ferrara - pagano qualcosa che va al di là del loro stesso profilo, del loro modo di essere, della loro funzione sociale (...). Tutti sanno che le migliori idee dopo il New Deal sono venute dalla destra liberista e libertaria...». E ancora: «Il paradigma culturale di sinistra è banalmente consumista, festivaliero, è premiopoli (...) mentre lo scavo aspro e segreto dei migliori scrittori e filosofi insofferenti all’omologazione liberal-democratica del mondo ha avuto qualcosa di eroico (...). Eppure, nonostante tutto questo la sinistra si guadagna la pagnotta della simpatia universale, la destra in ogni campo soffre di una forma di disprezzo...».
Su questo tema il Giornale ha chiesto ad alcuni intellettuali «di destra» di intervenire. Dopo Marcello Veneziani, Francesco Perfetti, Stefano Zecchi e Giuseppe Bedeschi, oggi ospitiamo l’intervento, conclusivo, del ministro. Desidero anch’io intervenire sulle colonne del Giornale a proposito dei temi sollevati da un editoriale di Giuliano Ferrara apparso sul Foglio. Lo farò sulla base della mia esperienza di ministro della Cultura del governo Berlusconi e della mia personale storia politica. In questi anni, infatti, proprio per il ruolo che rivesto nel governo e per essere stato un iscritto del Pci prima di aderire a Forza Italia, ho provato dentro di me, drammaticamente e dolorosamente, che cosa significa essere trattato dalla sinistra come l’esponente di una destra repellente. Il disprezzo della sinistra l’ho subito pubblicamente e perfino fisicamente. In tutti i luoghi in cui mi sono recato come ministro, anche quando ripetevo argomenti cari alla sinistra, ho avvertito negli sguardi, nel comportamento e addirittura nel rifiuto di stringermi la mano, tutta l’avversione e in alcuni casi l’irrisione degli intellettuali di sinistra nei confronti di un rappresentante del centrodestra, per di più posto alla guida del ministero della Cultura. Eppure io non posso essere considerato, culturalmente e politicamente, un esponente di destra. Non ho mai finto di essere un liberale autentico e non ho mai nascosto di considerarmi ancora un cattolico di sinistra, al punto di attirarmi gli strali e l’incomprensione di una parte anche della cultura di destra. Si può dire perciò che le persone con la mia storia hanno sofferto e soffrono nel proprio intimo le contraddizioni, le ipocrisie, i preconcetti, le menzogne, gli abiti ideologici e i veri e propri paradossi della nostra storia. Giuliano Ferrara, con la sua consueta profondità e libertà di pensiero, ha svelato tutto ciò, offrendo una chiave di lettura delle vulgate dominanti. Anch’io da tempo sostengo apertamente che i termini sinistra e destra non significano più nulla. Anzi, che se dovessimo ragionare secondo le categorie del passato, dovremmo rovesciare il significato dei due termini, attribuendo alla sinistra ciò che originariamente veniva detto della destra e viceversa. Non c’è dubbio, infatti, che oggi la sinistra per lo più è sinonimo di conservazione, mentre la destra rappresenta maggiormente un’istanza di cambiamento e di innovazione. Sul piano strettamente culturale, a me pare che dichiararsi di sinistra sia oggi così in voga fra i cosiddetti intellettuali e gli esponenti di alcune classi sociali libere da affanni economici, proprio per identificarsi con gli stili di vita dominanti, con le mode più diffuse e soprattutto per la rinuncia a voler rappresentare un pensiero critico rispetto alle dinamiche della realtà moderna. Per uno come me che ha vissuto intensamente tutta l’esperienza del compromesso storico, cioè del dialogo con il mondo cattolico da parte del mondo comunista, vedere oggi la sinistra scimmiottare il più acceso integralismo laicista, avendo di fatto abbandonato il dialogo con il mondo cattolico, rappresenta un evento clamoroso e significativo della metamorfosi della sinistra italiana. La più adeguata interpretazione di questo cambiamento l’ha offerta Augusto Del Noce, prevedendo che il Pci si sarebbe trasformato in un partito radicale di massa: un partito dei diritti e di un esasperato individualismo. Un’evoluzione che è una cesura nei confronti di tutta la storia migliore della tradizione comunista italiana, senza approdare però a un moderno partito riformista. Nella sinistra è totalmente scomparsa ogni tensione tra utopia e realtà, cioè ogni posizione critica della realtà a partire da un insieme di valori destinati a orientare l’azione politica. La politica della sinistra si è così appiattita completamente sul presente, privata di un punto di vista critico e propositivo in merito alle trasformazioni che sono avvenute e avvengono sia sul piano economico, sia su quello della cosiddetta bioetica. Che cosa resta dunque della sinistra? Resta una insopprimibile alterigia intellettuale e politica, il sentimento di rappresentare l’ultima difesa dai barbari e dagli imbarbariti che avrebbero plasmato la società a propria immagine e somiglianza, attraverso lo strumento subdolo della televisione e del populismo. Sulla base di questa proclamata superiorità politica e morale, la sinistra abbandona lo sforzo di comprendere la realtà e giunge inevitabilmente a deprecare il metodo della democrazia. In un mondo di barbari la democrazia è destinata a soccombere. Per contrastare questa tendenza, l’unico rimedio sarebbe una temporanea sospensione della democrazia per dare la possibilità a una sorta di direttorio delle coscienze illuminate di combattere i barbari e reggere le sorti della nostra società. Bisognerebbe sospendere la democrazia per salvare la democrazia! A questo porta una cultura che ha divorziato dalla realtà e che è ormai totalmente autoreferenziale, come direbbero loro. Detto questo della sinistra, che cosa si può dire della cosiddetta destra? Io risponderei in questo modo: la destra è ciò che il libero pensiero può pensare dopo la morte di tutte le ideologie totalitarie del Novecento. È il dominio del pensiero, che in quanto pensiero non può non essere libero e critico delle dinamiche della realtà. «Critico» però non significa voler ingabbiare nuovamente la realtà secondo schemi ideologici preconfezionati, ma significa cercare di guidare, meglio di accompagnare, il cambiamento sulla base di alcuni valori in cui crediamo. Significa, in fondo, credere nel valore del pensiero e perciò della cultura nel rendere più umano il mondo nel quale abitiamo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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