Gli slogan antipopulisti sono i migliori amici dei populisti moderni

Abbandonando le classi popolari, i liberal le hanno spinte fra le braccia dei conservatori

Gli slogan antipopulisti sono i migliori amici dei populisti moderni

Solo gli sprovveduti o i lettori dei quotidiani di sinistra possono credere che la pandemia abbia eliminato il populismo. Ha certamente indebolito quello della seconda ondata, che toccò l'apice nel 2016, ma possiamo già vedere una terza ondata populista, dopo quella degli anni Novanta del secolo scorso e quella iniziata nel 2007. Anche the new wave, come le altre due, vedrà probabilmente opporvisi un vasto fronte anti-populista, composto da soggetti senza nulla in comune tra loro che magari fino a poco prima si insultavano: tipico di tutti i movimenti collettivi caratterizzati da un approccio negativo, dall'essere contro qualcosa o qualcuno.

Tra tanti libri, spesso inutili, ripetitivi o illeggibili, sul populismo, nessuno aveva pensato di studiare le argomentazioni di chi ai populisti si oppone. Lo fa il saggista statunitense Thomas Frank in una breve storia dell'antipopulismo, The People, NO. A Brief History of Anti-Populism (Metropolitan Books). Frank non è uno qualunque, è un autore che ha visto con grande anticipo l'emergere dell'America trumpiana, molto prima che gli stessi Trump e Bannon apparissero all'orizzonte. Per Frank essa è nata come reazione alla guerra che, a un certo momento storico, le élite americane hanno scatenato contro le classi popolari e quelle medie. In più, provenendo dalla sinistra, Frank ha previsto con grande anticipo come l'abbandono della tutela delle classi popolari da parte dei liberal le abbia spinte in grembo ai conservatori di tipo nuovo. Se si pensa che What's the Matter with Kansas: How Conservatives Won The Heart Of America (Picador) è del 2005 mentre del 2015 è Listen Liberal. Whatever Happened to the Party of the People (Picador), molto opportunamente tradotto in francese con il titolo Pourquoi les riches votent à gauche (Perché i ricchi votano a sinistra), si capisce che gli storici dovranno studiare i testi di Frank per capire come, dagli anni di Obama, l'apoteosi della sinistra del merito e della competenza, sia naturalmente sgorgato Trump.

Nessuno meglio di Frank poteva quindi investigare gli anti populisti che, come mostra nel libro, dalla fine dell'Ottocento ripetono le stesse medesime argomentazioni. Leggiamo ad esempio qui: «in un cervello incapace di ragionare in modo economico e giudizioso, la sola idea prevalente si trasforma in un pregiudizio, e persino, in un atteggiamento di tipo emotivo, al limite della follia. Le menti possono non sempre condurre a questi gesti assurdi, ma, in persone non alfabetizzate, è chiaro che portano in quella direzione. Il soggetto del fanatismo può cambiare nel tempo, ma con il fanatismo noi vediamo emergere una classe sociale non educata (uneducated class) che pretende di accedere al potere politico». Non sembra di leggere uno dei tanti commenti sulla stampa internazionale e pure italiana, contro la vittoria della Brexit o di Trump? Non pare di sentire la Clinton e la sua evocazione degli elettori di Trump come basket of deplorables? Siamo invece negli Usa di inizio Novecento e l'autore si scaglia contro la politiche del People's party o Populist party, il partito populista americano, peraltro all'origine dell'omonimo vocabolo. Gli anti populisti di fine Ottocento e inizio Novecento, secondo Frank, non erano molto diversi da quelli di oggi: detestano la democrazia, la sovranità, il popolo concreto, parlano a nome delle élite, della competenza e della scienza, di cui si sono auto proclamati i rappresentanti, e soprattutto si sentono minacciati dall'avanzare dei populisti.

Questo ultimo aspetto è particolarmente originale: gli anti populisti, di oggi come di ieri, pretendono incarnare la ragione e la logica contro la demagogia ma in realtà si oppongono ai populisti perché si sentono minacciati nel loro status. Il populismo, ieri come oggi, mette infatti in discussione la parola e l'autorità degli esperti e dei competenti, i quali reagiscono alla loro perdita di autorevolezza tacciando di ignoranza e di scarsa competenza i populisti. Ma se scienziati, esperti e intellettuali hanno perso credibilità non è per colpa dei populisti; è che per decenni la loro parola pubblica si è rivelata fallimentare, e giustamente il popolo concreto non crede più alle loro affermazioni.

C'è però una differenza radicale tra gli anti populisti di fine Ottocento e quelli attuali: i primi parlavano a tutela di quei gruppi sociali minacciati dall'avanzare delle classi popolari. Erano, per dirla brutalmente, a destra. Oggi invece, e il passaggio è fondamentale, i critici della democrazia, delle richieste popolari, i difensori delle tecnocrazie e delle oligarchie, delle élite ossificate, sono proprio i liberal, cioè la sinistra. Mentre è la destra a essere diventata populista. Questo passaggio può sembrare molto recente ma in realtà secondo Frank è cominciato negli Usa degli anni Cinquanta, quando il sostegno popolare al maccartismo allontanò il mondo liberal da quello delle classi popolari. Già alla fine degli anni Sessanta poi, per la prima volta in maniera sostanziosa, ampi strati di classe operaia cominciarono a votare per Richard Nixon e poi per Ronald Reagan. Insomma, per dirla rapidamente, finché le classi popolari votavano a sinistra, per i liberal il popolo era sano. Quando invece le soluzioni tecnocratiche e l'ipocrisia della meritocrazia liberal hanno cominciato a non convincere più il popolo, per la sinistra questi ha iniziato a sbagliare, e a diventare populista.

Si può tornare indietro? Secondo Frank no, perché ormai i liberal americani e la sinistra rappresentano solo l'oligarchia finanziaria e le élite cognitive: quella che in

Italia è chiamata sinistra Ztl. E il nuovo progressismo, che poco ha a che vedere con quello di inizio Novecento, andrebbe piuttosto definito un liberal-oligarchismo anti-democratico, anti popolare e appunto antipopulista.

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