I licei del Made in Italy sono già una (preziosa) realtà

I licei del Made in Italy, caldeggiati dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in Veneto sono già una realtà. A parlarne, nella nostra intervista, l’Ing. Federico Pendin, Presidente di Fondazione San Nicolò, a cui fa capo l’Ismi (Istituto superiore del Made in Italy)

I licei del Made in Italy sono già una (preziosa) realtà

Poco tempo fa, durante la fiera del Vinitaly, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, parlando ad un gruppo di studenti di un istituto agrario, ha espresso il desiderio del governo sull’attuazione di un “liceo del Made in Italy” che insegni competenze sulle nostre preziose risorse, formando i giovani per un futuro lavorativo in cui le eccellenze del nostro Paese siano il punto focale del percorso. In Veneto, questo progetto è già diventato realtà, e sta riscuotendo grande interesse tra i giovani, oltre che molte opportunità lavorative. Ne abbiamo parlato con l’Ing. Federico Pendin, Presidente di Fondazione San Nicolò, polo Didattico di riferimento in Italia, della formazione e l’aggiornamento professionale di privati e imprese, per l’accompagnamento al lavoro, a cui fa capo l’Ismi (Istituto superiore del Made in Italy).

Prima ancora delle parole del Presidente del Consiglio, voi avevate già realizzato il progetto del liceo del Made in Italy, di cosa si tratta?

“Basandoci su dati della regione Veneto, aderenti a quelli della media nazionale, il 46% dei ragazzi che escono dalle scuole medie, iniziano un percorso liceale. Sappiamo che culturalmente nel nostro Paese la 'conoscenza manuale' è subordinata a quella intellettuale, per cui le famiglie tendono a spingere i figli su studi accademici. Il paradosso è che in un'Italia che potrebbe vivere solo di turismo, molti genitori “minacciano” i figli se non studiano, di mandarli dopo le medie alla scuola alberghiera. Noi al contrario, eravamo, e siamo convinti, che l'aspetto manuale e quello intellettuale dovessero andare di pari passo, se vogliamo avere un Paese vincente dal punto di vista della competitività. Con i nostri 4000 studenti ci occupiamo di formazione per il settore food e digitale, e tanti ristoratori della zona ci chiedevano un percorso di studio che potesse introdurre i ragazzi alla cultura gastronomica. Forti di questo, abbiamo pensato ad una scuola paritaria sull’enogastronomia, che avesse però anche una parte didattica importante. Non a caso tra le materie c'è anche il latino”.

Un Istituto nato quindi da un'esigenza del territorio?

“Abbiamo voluto dare un piccolo contributo ad un settore che ha una grande dignità. Come diceva Benigni nè 'La vita è bella': 'Il cameriere è il miglior mestiere del mondo, perché serve tutti, e non è servo di nessuno'. Questa è la dignità che vogliamo mostrare ai nostri studenti, per far capire loro che c'è una grande bellezza nelle professioni che usano, “l’intelligenza delle mani”. Abbiamo lavorato duramente per mettere in piedi programmi di studio specifici, che sono poi 'curvature', delle linee già esistenti, per questo quando abbiamo ascoltato le parole del Presidente del Consiglio, abbiamo pensato di aver scelto la strada giusta".

Quanto interesse c’è da parte dei ragazzi?

"Molto. I corsi sono sono sempre pieni, e spesso facciamo anche fatica a trovare posti".

Quale è stato il percorso di creazione?

"Ho pensato a questo particolare tipo di paritarie, strutturate, con la parte professionale e quella culturale, parlando con un caro amico di Parma, che anni fa ha vinto una gara per restaurare la Basilica della Natività a Betlemme. Gli ho chiesto come un italiano, con un piccolo studio, potesse aver vinto una commessa tanto importante, e lui mi ha spiegato che l'arma vincente, è stata quella di far lavorare l'ingegnere insieme a quello che poi passerà lo stucco o monterà il legno, in modo che l'uno impari dall’altro in maniera paritetica. Pensando alla diversità di questi lavori gli ho poi chiesto come venivano decisi i compensi, e lui mi ha stupito dicendomi che non c'erano differenze, visto che sono entrambe professionalità importanti. Facendo un parallelo, questo mi ha spinto, oltre alle tante richieste dei vari ristoratori, a creare questi percorsi scolastici che conferissero nuova dignità, professionalità e competenza, ad alcune professioni basate sul Made in Italy".

Ad iniziare dalla scelta da parte dei genitori, c'è spesso una discriminazione su determinati lavori. Prendendo l'esempio che ha fatto precedentemente, potrebbe essere un problema di retribuzione, oltre che culturale?

"Sulla retribuzione non sarei così sicuro. Si dice spesso, parlo soprattutto del comparto della ristorazione, di assenza di contratti, di lavoro nero, o di compensi non consoni. Sicuramente questo fenomeno esiste, però non ci si può nascondere dietro, ci sono in Italia realtà ristorative che lavorano bene, che organizzano turni in maniera che si possa lavorare solo il giorno o di sera e che fanno contratti dignitosi. Parlavo di questo con l'imprenditore Teo Musso che produce birra, e nonostante faccia contratti di lavoro assolutamente dignitosi, fa comunque fatica a trovare personale. Secondo me è un problema culturale. Noi genitori stiamo crescendo una generazione con la promessa che se studia lavorerà di meno e guadagnerà di più. Una grande menzogna. Io sono andato all’università, ma molti miei compagni che hanno interrotto gli studi alle superiori, sono diventati periti e ad oggi guadagnano più di me, che sono ingegnere, lavorando molte meno ore di quelle che faccio io. Il problema è che veniamo da una cultura dove i nostri padri hanno voluto risparmiarci la fatica mandandoci a studiare, e noi a nostra volta vogliamo risparmiarla ai nostri figli, facendogli però un gran danno. I figli vanno educati a sfidare la realtà, non ad esserne protetti, altrimenti non cresceranno mai. Tutto secondo me parte da lì".

Tornando un al discorso del liceo "Made in Italy", avete avuto un confronto con il governo?

"Noi ovviamente siamo in contatto con la parte tecnica, per la scelta delle differenze di studio di questi licei, ma mi piacerebbe poter invitare il Presidente Consiglio a vedere questa piccola, ma significativa, realtà che può essere riprodotta anche in altre parti d’Italia".

Voi siete gli unici al momento?

"Su questo genere c'è un istituto a Carate (Monza), e un altro a Napoli".

Tutte nell’ambito della ristorazione o anche nel settore agricolo?

"Quella di Carate nell'ambito della ristorazione, so però che ci sono altre iniziative, sempre in Italia, a dimostrazione del crescente interesse".

L’altro settore molto importante è proprio quello dell'agricoltura.

"Per questo nelle nostre scuole abbiamo istituito quello che si chiama 'l'orto al cucchiaio'. Siamo presenti con 7 sedi in tre regioni, e per ognuna abbiamo creato un filone che rappresenta le tipicità di quel territorio. Nella scuola di Vicenza ad esempio, c'è un corso che parte proprio dalla “conoscenza” della terra, seguendo tutta la filiera fino alla trasformazione del prodotto. A Valdobbiadene invece abbiamo introdotto il corso sulla caseificazione, partendo dal latte e arrivando sempre alla ristorazione, che come per l’orto al cucchiaio, è il nostro punto d'arrivo. C'è la norcineria, e siamo anche inseriti nelle piccole produzioni locali, grazie ad una legge veneta che permette di produrre e anche di vendere. Questo per dire che non formiamo solo camerieri, ma persone capaci di affrontare le sfide della vita. Magari non andranno a fare i caseificatori, ma non è quello lo scopo, piuttosto far conoscere la filiera e poter mettere “le mani in pasta” che è la cosa fondamentale. Bisogna far emergere quello che è il fascino e la bellezza che hanno alcune professioni. Fare il cuoco, lavorare la terra sono attività che vanno proprio scoperte, e vedere i ragazzi “lavorare” in quel modo è una grande soddisfazione, perché fin da piccoli c'è in tutti noi un desiderio di operosità, che crescendo viene in qualche modo tarpato. Non riteniamo di aver scoperto l'acqua calda, abbiamo solo risposto ad un’esigenza del territorio, avendo risultati molto interessanti".

Si parla tanto dei lavori del futuro, quelli su cui indirizzare i nostri figli. Questo potrebbe sembrare un lavoro del passato, ma secondo lei è destinato ad essere qualcosa su cui puntare andando avanti?

“È appena uscito uno studio, che è stato pubblicato anche da 'Veneto lavoro', sulle professioni del futuro dove si evidenzia come, andando avanti, ci sarà sempre meno bisogno di amministrativi o avvocati e al contrario tutte le professioni manuali sono sempre più ricercate. Ma a prescindere da questo, il punto è che noi dobbiamo educare alla terra e alle cose concrete, per rendere i ragazzi capaci di affrontare le sfide della vita, dando loro un metodo. Se sai fare il formaggio, o lavorare nella norcineria, cucinarla, servirla, trattare con un cliente, nel futuro potranno anche esserci professioni diverse, ma abbiamo fornito loro la capacità in qualche modo reinventarsi, gli abbiamo insegnato una capacità di positività rispetto alla realtà".

Nei vostri corsi però, c’è anche tanta innovazione

"Esatto. Quando parliamo di enograstronomia, parliamo anche di chimica e metodologia, perché immaginiamo che in futuro, e ci sono importanti studi a supporto che stanno facendo in Francia, il cuoco dovrà avere anche competenze mediche, conoscendo gli allergeni e la composizione degli alimenti. Abbiamo insegnato la cucina molecolare, però non è quello il punto, piuttosto dar loro una passione rispetto al lavoro. Spesso raccontiamo ai nostri figli che lavorare è affascinante, ma poi torniamo a casa la sera tardi distrutti.

Se i figli vedono questo che fascino trasmettiamo? L'operosità aiuta la socialità che serve al nostro Paese e che ci aiuta a diventare grandi, in contesto sempre più in un contesto sempre più globalizzato. Quindi è lì il punto vero dove andare ad agire".

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