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Lo spiritual coach non è una brutta idea. Ma per andare "oltre" serve il prete confessore

L'unica vera buona abitudine è quella di abituarsi a non abituarsi! È il cercare, nel limite del possibile, di fare le cose in maniera diversa dallo scontato che impantana

Lo spiritual coach non è una brutta idea. Ma per andare "oltre" serve il prete confessore
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Tutti rincorrono l'ultima moda, voi preti restate sempre alla penultima... quando va bene! Non capisco perché insistete a parlare di confessione. Queste parole sanno di muffa, ormai! Non dico di buttare via tutto, ma di fare un restyling. Basterebbe poco. Ti faccio un esempio. Se anche solo in chiesa al posto del cartello confessionale ce ne fosse uno nuovo con scritto spiritual coach sicuramente molte più persone considererebbero in modo diverso questa possibilità».

Un amico, commentando le mie riflessioni in questa rubrica settimanale, mi ha fatto questa osservazione. È solo questione di restyling? Immediatamente mi è venuta in mente una vignetta dell'ironica e graffiante Mafalda dove bofonchiava: «Ci si preoccupa di rifare il seno, quando invece sarebbe più necessario rifare il senno». Proprio però «con senno» credo che l'immagine del coach possa essere stimolante dal punto di vista di un laico che rileva la necessità della riforma di una Chiesa percepita staccata, ma anche per la mia prospettiva teologico-pastorale che vuole custodire uno scrigno di fede (gelosamente, magari ancora per pochi) e comunque per chiunque possa leggere questo articolo senza alcuna posizione vicina o lontana dal confessionale. Ha bisogno di un buon coach chi è in difficoltà, chi è all'apice del successo e chi vuole mantenere il suo equilibrio. Tutti. Mi sono chiesto allora quali possano essere gli elementi essenziali comuni in questo interesse trasversale e interdisciplinare.

Primo. La chiarezza sulle priorità: non tutto ciò che è bello è buono, non tutto ciò che è buono è utile, non tutto ciò che è utile è opportuno. Secondo. Per sforzarmi di essere più moderno direi «Brain & Emotional Fitness»: le regole che valgono per i muscoli valgono per cervello ed emozioni. Il muscolo cresce quando viene «stressato», ossia quando prova ad alzare un peso maggiore rispetto a quello che confortevolmente riesce a sopportare. Se ci alleniamo sempre con lo stesso bilanciere manteniamo il muscolo in forma, ma non se ne aumenta la potenza. Le crisi, cioè, sono i pesi con cui la vita forgia i muscoli morali, relazionali, valoriali, sentimentali. Così ciò che metteva in difficoltà, una volta conosciuto e affrontato, diventa pian piano gestibile fino ad ampliare l'abilità. La volontà è un muscolo dell'anima. Terzo. Uccidi il mostro finché è piccolo. Le abitudini nutrono vizi e difetti. Per migliorare i risultati bisogna cambiare qualcosa che si fa e il come lo si fa. Chi fa le cose che ha sempre fatto, ottiene i risultati che ha sempre ottenuto. L'unica vera buona abitudine è quella di abituarsi a non abituarsi! È il cercare, nel limite del possibile, di fare le cose in maniera diversa dallo scontato che impantana. Tanti minuscoli cambiamenti ci liberano da piccole dipendenze psicologiche che creiamo intorno a noi come «comfort-zone». Ci stiamo tanto bene che desideriamo una «comfort-bubble», una bolla dentro cui isolarci, che però diventa «comfort-castle», un castello in cui io mi credo re e quindi io sono io e voi non siete

un... dazio (mi si permetta di correggere così la citazione filmica, visto che il tema va molto discusso in questi giorni). Il rischio è che si tratti di una «comfort-jail», una prigione in cui si è vittime e aguzzini di se stessi. Quarto. Empowerment. Nel restyling servono parole inglesi. Noi preti in sagrestia lo chiamiamo «proposito». Empowerment. Il più delle volte lo si intende come sinonimo di potenziamento o progressione, letteralmente è la forza che fa leva sul power, sul bottone di accensione. Devo però rendermi conto del mio power, di ciò che faccio al meglio, partendo dal buono, dal bello, dal vero, dall'effettivo e dall'affettivo, dall'efficace che sono e che faccio.

Io aggiungo qui «grazie di Dio»: grazie a Dio sono così, grazie a Dio posso essere di più. Forse qui si trova un dettaglio che crea una sfumatura di differenza tra lo spiritual-coach e la confessione.

Non è contrapposizione, ma integrazione su piani diversi: l'altro e l'oltre. Il coach aiuta a vedere altro, a comprendere altro, a ottenere altro; il prete provoca con un oltre. È un mistero. In ogni caso è un bel restyling per «rifarsi il senno».

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