Milano - Fini e Bersani, con i loro «elenchi di valori» di destra e sinistra rappresentano «solo delle elite», in realtà «hanno la stessa matrice» e incarnano il soggettivismo e lo statalismo. È il giudizio impietoso del professor Luca Diotallevi, vicepresidente delle Settimane Sociali, sociologo di fiducia della Cei.
Che cosa ne pensa degli «elenchi» di Bersani e Fini che sono stati letti nel corso del programma di Fabio Fazio?
«Hanno offerto immagini molto simili: un po’ di soggettivismo, molto statalismo; l’opposizione tra i due è solo formale, perché nei fatti militano nello stesso schieramento e dal punto di vista culturale hanno la stessa matrice giacobina e idealista».
Entrambi, nei loro elenchi di valori, hanno omesso qualsiasi riferimento temporale...
«Sì, erano elenchi validi per ogni tempo e spazio. L’unica differenza tra i due è che Fini un concreto riferimento spaziale l’ha fatto, quello all’Italia. E se davvero fossero loro due i protagonisti di un’ipotetica finale, vincerebbe inevitabilmente Fini, che pur nella sua astrattezza, è stato meno astratto di Bersani».
Qual è stata la sua reazione di fronte ai due interventi?
«Il confronto tra Fini e Bersani ci dice innanzitutto che il valore non è la forma della verità e tantomeno della verità cristiana, ma qualcosa di astratto e di lontano dalla vita. Non a caso da quella scena mancava l’80 per cento del Paese e il 95 per cento della storia del Paese...».
Prego? A che cosa si riferisce esattamente?
«Mancavano il sangue e la carne degli uomini che hanno fatto la storia italiana a partire dal dopoguerra, e che erano ispirati dalla tradizione cattolica e da forme di realismo e di passione per la vita provenienti tanto dal mondo laico che dalla tradizione socialista. Se guardiamo alla trasmissione di Fazio, vediamo un polo composto da due radicalismi, due quasi indistinguibili forme di soggettivismo e statalismo, sia nella versione di Fini che in quella di Bersani. Mancava del tutto il polo opposto, caratterizzato dalla passione per la vita e dal coraggio di riformare, quello della grande tradizione del pensiero cattolico».
Non le sembra esagerato parlare di «radicalismi»?
«Confermo il giudizio, Fini e Bersani sono radicali nel soggettivismo e nello statalismo. Sono soltanto piccole schegge di elite, che oppongono resistenza al formarsi di una società libera e aperta, “poliarchica”, come ama definirla Benedetto XVI».
Che cosa ci dobbiamo dunque aspettare dalla crisi?
«Ci troviamo in una condizione simile alla transione verso la prima Repubblica (1943-1948), e alla fuoriuscita dalla prima Repubblica (1993). In entrambi i casi si rischiò ma poi si evitò di consegnare il Paese alle forze dello statalismo e del socialismo. Decisiva fu l'iniziativa imprevista del cattolicesimo politico e dei suoi alleati riformisti: nel primo caso la Dc di De Gasperi evitò il confronto tra nostalgici del regime e la sinistra telecomandata da Mosca. Nel secondo caso l’iniziativa referendaria di Segni, le giuste rivendicazioni della Lega Nord, la leadership di Berlusconi sul centrodestra, e quella di Prodi sul centrosinistra e poi il tentativo appena abbozzato di Partito Democratico, hanno mostrato la possibilità di un bipolarismo guidato dalle due ali mediane».
E oggi qual è la situazione?
«Oggi siamo ad un nuovo passaggio critico ed ad un riproporsi dello stesso rischio. Difficile fare previsioni, ma sarà importante l’iniziativa politica dei cattolici, che i vescovi invitano a impegnarsi. Sarà importante non solo per loro stessi, ma per difendere una democrazia di tanti e non di pochi».
Sta pensando alla costituzione di un terzo polo? «Assolutamente no. L’iniziativa politica dei cattolici deve essere capace di un regime bipolare, coltivando le alleanze e difendendo il ruolo dell'elettore».
Che dice del ruolo dell’Udc di Pierferdinando Casini, che sembra guardare con attenzione a quanto sta facendo Fini in vista di future alleanze?
«Resta difficile comprendere come l’eredità di De Gasperi e Sturzo possa essere composta con personaggi che esaltano il soggettivismo e lo statalismo».
Lunedì scorso nella trasmissione di Fazio si è parlato molto in difesa dell’eutanasia...
«La perfetta affinità tra quel profilo di destra e quel profilo di sinistra è dimostrata proprio dall’apologia dell’eutanasia, che nulla ha a che vedere col divieto dell’accanimento terapeutico sempre insegnato dalla Chiesa.
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