Solo Don Matteo mantiene un grande pubblico. I dirigenti Rai e Mediaset però hanno ancora fiducia nel genere

Tiberio Mitri le ha prese di santa ragione. Non solo nella vita, ma anche nella fiction. La miniserie sulla vita del pugile martedì è stata messa ko dal serio «bla bla» politico: solo il 15,5 per cento contro il 15,7 di Ballarò (su Raitre). E lunedì, prima puntata, non era andata tanto meglio: il 15,9 per cento contro il discusso talent Baila! di Canale 5. Non stiamo qui a stracciarci le vesti per una fiction che non ha funzionato come doveva visto il cast stellare (Luca Argentero e Martina Stella) e lo sforzo produttivo, però anche in questo caso - come nel resto della programmazione di Raiuno - i campanelli d’allarme stanno trillando a più non posso. Perché anche il primo titolo lanciato quest’anno, Il segreto dell’acqua, che contava sull’importante presenza di Riccardo Scamarcio, è andato a picco: una media molto bassa del 12,3 per cento di share, risultati che fino a qualche anno avrebbero fatto saltate delle teste. Certo, nella difficoltà generale della Tv tradizionale, nessuno immagina più di raggiungere pubblici di sette o otto milioni di spettatori, però racimolarne meno di tre è quasi un punto di non ritorno. A salvare la fiction del primo canale ci pensa, per ora, il sempreverde Don Matteo che giunto all’ottava edizione veleggia ancora sul 25 per cento. Poi arriveranno altri titoli a dar man forte, da Violetta a Cenerentola. Ma i risultati altalenanti di Raiuno e quelli più omogenei, ma non esaltanti di Canale 5 (vedi tabella a fianco) stanno a significare che pure la fiction popolare, quella che ha retto le sorti delle ammiraglie Rai e Mediaset in tutti questi anni, sta segnando il passo? Se ne sta discutendo proprio in questi giorni al RomaFictionFest. E abbiamo girato la domanda a coloro che guidano la produzione nelle due aziende. Fabrizio Del Noce, direttore di Rai Fiction, non si nasconde dietro risposte di circostanza: «Questi dati - ammette - ci hanno sorpreso in maniera negativa. Soprattutto per quanto riguarda Tiberio Mitri, una serie ben realizzata e con una cast importante. Penso che sia stata danneggiata dallo stop giudiziario (doveva andare in onda in primavera) e dal fatto che il pubblico sia stato bombardato durante l’estate dalle repliche. Invece per Il Segreto dell’acqua, una serie dal linguaggio difficile, è stata sbagliata la programmazione: bisognava mandarla in onda fuori garanzia a inizio settembre o più avanti, dopo titoli più forti». Il futuro a breve come lo vede? «Penso che la fiction rimarrà un genere ancora molto forte e adatto al pubblico di Raiuno. E che, nonostante le difficoltà generali, alla fine della stagione anche quest’anno recupereremo punti».
Giancarlo Scheri, responsabile della fiction Mediaset, è ottimista. «Con i nostri primi tre titoli abbiamo comunque raggiunto una buona media. E possiamo dirci contenti visto il contesto complicato in cui operiamo. In generale, penso che intrattenimento e fiction rimarranno ancora per molto generi propri della Tv generalista perché costituiscono offerte in prima visione, mentre gli altri canali trasmettono serie d’acquisto». Però, per reggere la concorrenza, a volte le serie vengono infarcite di troppo sesso e violenza come nel caso di Sangue caldo... «Non penso che sia troppa, comunque sono funzionali al racconto che parla di riscatto sociale. E poi abbiamo messo il bollino giallo». La ricetta per rinvigorire il genere la dà Pietro Valsecchi, storico produttore delle serie Mediaset (da Distretto a Ultimo), ospite festeggiato per i vent’anni della Taodue ieri al RomaFictionFest: «Oggi i giovani non guardano la televisione, anzi la fuggono, sono interessati da altre forme di comunicazione, incollati a internet e Facebook.

La tv generalista è immobile, c’è un linguaggio retorico, sta vivendo un periodo di confusione, per carenza di progettualità, e di idee originali. Occorre investire nella ricerca di nuove storie, e quindi sul prodotto. Per riagganciare il pubblico dei più giovani bisogna puntare su temi che riguardano anche loro: il sociale, la scuola, la cronaca».

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